Omelia Messa Crismale

Carissimi,

è la nostra prima Messa Crismale insieme.
È noto che al centro di questa celebrazione Eucaristica c’è la benedizione degli olii.

Mi piace pensare agli oli santi, prendendo in prestito l’ultima immagine del Libro dell’Apocalisse: “E mi mostrò poi un fiume d’acqua viva, limpido come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dall’Agnello. In mezzo alla piazza della città, e da una parte e dall’altra del fiume, si trova un albero di vita che dà frutti dodici volte l’anno, portando frutto ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni. ” (Ap 22, 1-2).

Vorrei pensare che questa sera, da questa nostra Cattedrale, scaturisca un fiume di salvezza, rappresentato dagli olii santi, che raggiunge le piazze delle città della nostra diocesi, per portare frutti per tutto l’anno: frutti di grazia, di consolazione, di fortezza, di cura, di guarigione, di conformazione a Cristo.

È olio che consacra, olio che profuma, olio che risana le ferite, che illumina:

Olio che consacra le nostre vite di battezzati e ministri ordinati e ci invia, martiri della coerenza cristiana, per le strade del mondo;

Olio che profuma la nostra esistenza, grazie a Dio, il quale sempre ci fa partecipare al suo trionfo in Cristo e diffonde ovunque per mezzo nostro il profumo della sua conoscenza, rendendoci profumo di Cristo nel mondo (2Cor 2,14-15);

Olio che risana le tante ferite dello spirito e le ristora con le lacrime del cuore, preludio necessario per ogni guarigione e conversione;

Olio che illumina, i nostri cammini spesso stanchi, appesantiti da delusioni, amarezze e frustrazioni e li orienta a mete di senso.

Questa sera, noi sacerdoti, rinnoveremo le promesse sacerdotali, fatte il giorno della nostra Ordinazione sacerdotale; perché non sia un gesto formale, vorrei che ci chiedessimo: di cosa profumano la mia vita e il mio ministro?

A prima vista, può sembrare una domanda un po’ frivola, in realtà, si tratta di una domanda che ci obbliga a verificare la qualità e lo stile delle nostre relazioni umane e ministeriali.

La nostra vita e il nostro ministero devono prima di tutto profumare di fraternità. Possiamo conoscere perfettamente i linguaggi della teologia, il vocabolario ecclesiale, i forbiti termini spirituali, ma il linguaggio che la nostra gente esige da noi, è il linguaggio della fraternità. Un linguaggio elementare ma esigente, che è accessibile a tutti, perché non è fatto di parole ma di stile evangelico.

È proprio nel contesto dell’Ultima Cena che Gesù, dopo aver lavato i piedi ai suoi discepoli, offre loro il comandamento nuovo: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri. ” (Gv 13,34-35)

Sapranno che apparteniamo a Cristo da come ci ameremo e contrariamente saremo di scandalo quando ci eserciteremo nell’arte del puntare il dito contro i fratelli, emettendo giudizi sommari e senza appello, che scaturiscono solo da nostri pregiudizi.

Il profumo della fraternità guarisce le ferite del cuore, asciuga le lacrime dell’errore, ricuce gli strappi della comunione e rimette in moto cammini di speranza.

La fraternità desiderata, ricercata, costruita, prepara il campo per un comune lavoro pastorale; infatti, cari amici sacerdoti, dobbiamo profumare di una collegiale azione pastorale. Pensare insieme, progettare insieme, lavorare insieme, non può più essere l’optional di uno sparuto gruppo di pionieri visionari, ma deve diventare prassi normale del nostro agire pastorale.

Non fa bene al nostro essere chiesa, l’azione dei solisti, che calcano la scena col gusto di avere sempre su di sé le luci della ribalta.

Quante volte la nostra gente è affascinata da quelli tra noi che amano stare al centro della scena, ed esibiscono le loro capacità, ma non sono disponibili a collaborare con nessuno e se si aprono agli altri lo fanno solo a condizione che siano comparse.

In questo modo, a cosa educhiamo le nostre comunità? Al protagonismo individualista? E qual è la differenza cristiana di stile, che noi dobbiamo marcare rispetto al mondo?

È tramontato il tempo delle comunità parrocchiali-feudo; il campanile non è una torre da cui avvistare gli estranei che si avvicinano minacciosi alle mura parrocchiali, ma il segno della presenza di una comunità, che oltre alle mura, è disposta ad aprire il cuore, ai viandanti della mobilità permanente, che cercano un’oasi dove potersi abbeverare.

È tempo di lavorare insieme per l’annuncio del Vangelo; Gesù non ha affidato la missione ai singoli apostoli, ma ai Dodici, come corpo, come collegio: “Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi.” (Gv 20, 21).

Spogliamoci dell’io pastorale, ispirato ai nostri gusti personali e alle nostre consolidate certezze e rivestiamoci del noi, di una missione pastorale che ci vede convergere su quello che lo Spirito Santo dice alla Chiesa.

Il profumo di una azione pastorale collegiale ha bisogno di mescolarsi al profumo di un coerente martirio esistenziale. La trasparenza, la coerenza, la santità della nostra vita di uomini di Dio non è un valore negoziabile. E il nostro martirio quotidiano, che fa crescere le nostre comunità ad immagine di Cristo Signore.

Risuonano, quanto mai importanti a questo riguardo le parole dell’apostolo Paolo: “Poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio. Egli dice infatti: Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso. Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza! Da parte nostra non diamo motivo di scandalo a nessuno, perché non venga criticato il nostro ministero, ma in ogni cosa ci presentiamo come ministri di Dio…” (2Cor 6,1-4).

Nel nostro agire quotidiano, non possiamo non avere la premura di non dare scandalo a nessuno, per non esporre il nostro ministero alla critica; e scandalo può essere anche, semplicemente, una vita trasandata, spenta, ripiegata su se stessa, senza entusiasmo, chiusa nelle proprie vedute contrabbandate per verità assolute; una vita distante dal Vangelo di Cristo.

Questo non possiamo permettercelo, perché metteremmo a rischio il nostro ministero e non riconosceremmo la preziosità del dono ricevuto senza alcun merito.

Sempre, ovunque, in ogni momento presentiamoci come ministri di Dio; indegni, fragili, limitati, ma ministri di Dio, capaci di offrire a chiunque il profumo di un coerente martirio esistenziale.

Signore, nella sinagoga di Nàzaret, gli occhi di tutti erano fissi su di te, questa sera sento i tuoi occhi fissi su di me, su ciascuno di noi presbiteri di questa santa Chiesa di Brindisi-Ostuni.

Sono occhi che scrutano le profondità del nostro cuore e sanno cogliere le vibrazioni più intime, che neanche noi sappiamo cogliere, presi come siamo dalla corsa della nostra vita e del nostro ministero.

Scorgi Signore, in queste vibrazioni, il nostro desiderio di santità, e apri ai nostri cuori incerti, orizzonti nuovi nel dono di noi stessi, perché come seme fecondo sperimentiamo la morte di ogni tipo di grigiore rassegnato e ripartiamo sulle strade delle nostre Galilee, per contribuire alla corsa del Vangelo.

Donaci occhi nuovi e sguardo paterno per guardare i fratelli e le sorelle che ci hai donato, e curare le loro ferite con l’olio della consolazione e il vino della speranza.

La tua Santa Madre, Maria, donna feriale, accompagni il nostro cammino e ci aiuti a restare fedeli alla fede battesimale, che prende forma nei nostri SI quotidiani

AMEN