1. Le origini
Complesse sono le vicende riferibili alla chiesa conventuale di San Pietro Apostolo in Ostuni. Occorre far riferimento, seguendo l’impostazione data da Ludovico Pepe nelle sue “Memorie Storiche e Diplomatiche…”, al 1519 allorché, in un documento del vescovo Giovanni Antonio De Rogeriis (1517‐ 30), per la prima volta è menzionata, annessa alla struttura monastica, una chiesa.
Il monastero delle monache benedettine è anteriore al 1267; in una pergamena di quell’anno, edita da don Luigi Roma, è l’atto di vendita di una casa posta nei pressi. L’edificio è citato successivamente in pergamene datate 1308 e 1448.
Nel XVII secolo, dato l’aumentare del numero delle monache, sia il monastero che la chiesa erano diventati ormai insufficienti; per un ampliamento ormai indispensabile della struttura nel 1658, le suore acquistarono un adiacente palazzo della nobile famiglia ostunese dei Lercario. Nel 1659, poco distante da quella sino allora utilizzata dalle monache, intitolata a Santa Maria di Loreto, oggi inglobata nella struttura del convento, si costruì una nuova chiesa con dedicazione a San Pietro Apostolo. Si presenta oggi con un ingresso “incassato fra edifici alti”, compreso tra le mura del monastero e di abitazioni private, come ricorda anche l’arcivescovo mons. Tommaso Valeri (1910‐42) negli atti di Santa Visita del 1911: “La chiesa da tre lati è circondata dal monastero delle Benedettine. Non vi sono
altri locali ne sopra ne sotto la detta chiesa”. Il prospetto si presenta con una facciata semplice; l’ingresso immette in un’unica aula la cui articolazione chiaramente barocca fa comprendere l’apporto rilevante offerto dalla città di Ostuni al dialogo artistico e culturale del tempo.
2. L’interno
L’interno, ad aula unica, si articola su quattro altari. Il maggiore, in pietra gentile, è composto da due colonne a spire appartenenti al cosiddetto “ordine salomonico”, affiancate da altre due ornate da fregi e foglie sovrapposte con chiaro rimando al barocco salentino che, in questo periodo, ha ampi e anche originali sviluppi in terra di Brindisi. Le colonne terminano con capitelli mensoliformi su cui poggiano le statue di San Benedetto a destra e San Pietro a sinistra; al centro è una terza statua, rappresentante Dio Padre, in pietra dorata. Il tutto si chiude con un finestrone decorato da tre cherubini. Le colonne tortili fanno da cornice alla pala d’altare della “Vergine con bambino assisa su una nube tra angeli”. La Vergine si eleva su di un gruppo di suore benedettine oranti, poste tra san Pietro e san Benedetto. Il dipinto ha una chiara ispirazione veneta con riferimento a Jacopo Negretti detto Palma il Giovane (Venezia, 1544 – 14 ottobre 1628) autore di un’opera, già nella concattedrale di Santa Maria Assunta in Ostuni, perduta per furto.
Il primo ventennio del seicento, in Puglia, è dominato dalla cultura veneta i cui riflessi paiono evidenti nelle due tele ai lati dell’altare maggiore: l’“Annunciazione” e l’“Assunzione di Maria Vergine”, probabilmente dello stesso autore della pala dell’altar maggiore che qui “schiarisce” la tonalità, influenzato probabilmente dalle sollecitazioni napoletane di Francesco Fracanzano (1612‐56), autore di “limpidissima pittura di valori nei corpi e nei panni nitidi e rilucenti”. I due medaglioni sono ornati da riccioli e cartigli in stucco tipici della maniera napoletana di Domenico Antonio Vaccaro ( 1678 –1745) di cui nella concattedrale è la Madonna con Bambino e Santi. È da ricordare che, ad oggi, uno dei medaglioni, quello avente a tema l’Annunciazione, non è più collocato in San Pietro.
Sul lato sinistro, sono due altari: il primo dedicato alla Santissima Vergine di Loreto, l’altro alla Vergine incoronata dalla Santissima Trinità e sant’Oronzo.
L’altorilievo della Santissima Vergine di Loreto riprende la tradizionale iconografia sul tema; la Vergine è proposta fra due glorie di cherubini, domina la Santa Casa ed ha innanzi, oranti, san Pietro e san Benedetto. Con molta probabilità quest’altorilievo è stato qui trasferito dalla vecchia chiesa, dedicata a Santa Maria di Loreto; lo testimonia l’iscrizione leggibile accanto alla figura di san Benedetto: “Addictis posuit et dotavit MDCXXXV. La committenza dell’altorilievo si riscontra sia grazie allo stemma dei signori Loffredo, nobili napoletani, sia
grazie a un beneficio, che è nell’archivio del monastero delle Benedettine, datato 1634.
Il secondo altare è indicato dall’arcivescovo mons. Tommaso Valeri come “dedicato alla Vergine e alla Santissima Trinità”; la tela di pertinenza ha a soggetto L’incoronazione della Vergine tra Gesù e Dio Padre, presenti i santi Benedetto, Carlo Borromeo e Oronzo9. Andrea Anglani, nel suo saggio monografico, lo considera col titolo di Sant’Oronzo.
Il Sant’Oronzo appare desunto dalla tela dipinta da Giovanni Andrea Coppola (1597 – 1659) per il duomo di Lecce, modello ripreso anche per il dipinto della concattedrale di Ostuni. Il riferimento è non solo iconografico ma anche nelle tendenze compositive e nella gamma di colori adoperati. La figura di san Carlo Borromeo pare tuttavia riconducibile a modelli veneziani e quindi ancora una volta alla bottega di Jacopo Palma il Giovane o al suo più modesto allievo mesagnese Andrea Cunavi. La committenza di quest’altare, date le fattezze dello
stemma, può appartenere a un marchesato. L’altare dedicato a San Martino, come rileva Todisco e attesta la Platea del convento fu edificato il 1756.
Al centro dell’altare vi è la tela che rappresenta “San Martino che divide il Mantello”, grossolana nelle fattezze e poco bilanciata. Todisco ha attribuito il quadro all’artista Pasquale Reni13 attivo il 1775 nell’altra chiesa ostunese del Carmine. Tutti gli altari in pietra presenti nella chiesa s’inseriscono in un linguaggio baroccheggiante solo in parte dovuto all’influenza di modelli leccesi. Non mancano motivi a voluta e l’inserimento di cartigli che conferiscono unicità agli altari “alla napoletana” di gusto vaccariano. Molto rilevanti all’interno della chiesa
sono le due sculture dell’Addolorata e dell’Immacolata. L’Addolorata è una ottocentesca statua processionale con testa e mani in legno. L’Immacolata, del 1719, in legno, è scolpita ed autografa di Giacomo Colombo (1663‐1731).
3. L’Immacolata del Colombo
Oggetto di numerosi studi, l’Immacolata “delle Benedettine”, così identificata dagli studiosi locali per distinguerla dall’altra presente nella chiesa di San Francesco d’Assisi, è segnalata da Andrea Anglani già nel 1929.
Nel suo testo è la trascrizione della leggenda che vede il Colombo lavorare alle due statue di sabato, restando a pane e acqua. Terminate le due sculture, il Colombo le avrebbe trasportate per mare e, giunto a Villanova, le avrebbe caricate su due carri trainati da buoi, pregando la Madonna che arrivassero ciascuna dove lei avesse voluto. In tal modo una sarebbe pervenuta a San Francesco e l’altra a San Pietro delle Benedettine. Il Colombo rappresenta il tipico esempio di “artista‐ imprenditore”, organizzato con una bottega che riusciva a eseguire numerose opere senza mai scadere nella banalità o serialità; il livello qualitativo alto e omogeneo soddisfa appieno le richieste della committenza.
L’Immacolata delle benedettine è pregna del verismo e della “dimensione terrena” tipica della lezione solimenesca. La mano del Colombo si scorge nel plasticismo dei personaggi, nei riccioli cascanti ben delineati e nel viso pieno e materno. Nell’Immacolata delle Benedettine è, senza dubbio, reso l’“opulento ideale femminile”.
Un lastrone in marmo bianco, posto al centro del pavimento della chiesa, indica l’accesso a sepolcreti oggi ovviamente vuoti. L’iscrizione sopra incisa recita: “Hic pulvis et ossa iacent monialium veteris et novi monasterii sancti Benedicti civitatis ostunensis 1781”.
Dal 2009 la chiesa e il convento di San Pietro sono di proprietà privata e si ringrazia pertanto il cav. Calamo per l’offerta accoglienza e la disponibilità dimostrata.
San Pietro apostolo
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