Sorta nel 1304 nell’orto del Colombro, su suolo donato da Filippo principe di Taranto, a opera dei padri minori conventuali, che ne ebbero cura per oltre cinque secoli, la chiesa di San Francesco, in seguito alla prima soppressione degli ordini religiosi, fu data in consegna all’arciconfraternita dell’lmmacolata che tuttora la gestisce. Ebbe sicuramente caratteri gotici e li mantenne fino al 1615 quando subì grosse trasformazioni e fu in gran parte ricostruita. Nella seconda metà del settecento i francescani dopo avere ricostruito il convento su progetto dell’architetto Pietro Magarelli provvedevano a rendere nuova anche la chiesa sotto la direzione del maestro muratore e scultore Giuseppe Fasano, coadiuvato dal figlio Carlo, e Nicolantonio Maldarella. La facciata fu progettata nel 1883 dall’architetto Gaetano Jurleo per armonizzarla con il prospetto del Palazzo di Città, opera di Ferdinando Ayroldi, sviluppatosi sulla ridefinizione dell’antico convento. Sembra costituire unico complesso con il prospetto della casa comunale, ma se ne distingue per una maggiore sontuosità, dovuta a un sovraccarico di elementi decorativi. La facciata, dedicata alla Gloriosae Reginae Mundi, fu innanlzata dall’arciconfraternita dell’Immacolata
Divisa in due bande dal cornicione che la attraversa a metà della sua altezza, ha in alto una finestra atipica di ispirazione romanica che ne aumenta lo slancio e accentua la preziosità dell’insieme. Nella parte inferiore spiccano due statue in marmo di Carrara, dello scultore ostunese Francesco Bagnulo (1911-1991), collocate nel 1935 nelle due nicchie a lato del portone: San Francesco d’Assisi e Sant’Antonio di Padova. Notevole nella prima di esse il senso di placido vigore che ispira la figura del santo nell’atto di ammansire il lupo.
Interessante è la porta di bronzo, dello scultore romano Egidio Giaroli, collocata nel 1985. Da una delle sue scene più vive, legate alla città di Ostuni, è detto il portale del Cavalluccio. Celebra la vita di san Francesco in chiave ecologica e di liberazione dal peccato, fondendola e trasfigurandola nel mistero della vita di Cristo. Opera moderna, dalla tematica ricca e complessa, si segnala per essenzialità di linee e per ritmo compositivo come anche per arditezza di concezione nella sequenza e divisione dello spazio, per l’immediatezza e trasfigurazione delle immagini, che sembrano delinearsi prendendo peso dalla immaterialità del sentimento.
Diamo una breve guida pratica alla lettura dei pannelli della porta, divisa in tre zone dal Tau, la Croce di san Francesco, quella che apponeva come firma personale; croce privata della parte superiore, perché non somigliasse a una spada da impugnarsi.
La parte al di sopra del Tau è fissa e illustra in due pannelli: la creazione di Adamo, plasmato dalle mani di Dio; il Cantico delle Creature, che san Francesco scioglie al centro della Creazione, affiancato sul Iato destro dalla veduta di Ostuni. Tra l’uno e l’altro pannello è l’immagine dell’lmmacolata, quasi a completare, diritta sulla barra trasversale del Tau, la figura tradizionale della Croce.
La parte sinistra al di sotto del Tau ha quattro pannelli:
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La cacciata di Adamo ed Eva dal paradiso terrestre;
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La Porziuncola, con Francesco che chiede a Maria l’indulgenza e il perdono per la piccola chiesa di Assisi;
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La scena del Cavalluccio con riproduzione del miracolo compiuto da san Francesco in Ostuni. Un cavalluccio ammalato guarì dopo che il santo lo fece per tre volte girare attorno alla chiesa di Santo Stefano.
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Innocenzo III che approva la regola francescana.
La parte destra al di sotto del Tau ha tre scene:
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Il Calvario, con Francesco che viene trafitto ai piedi della Croce: il Calvario e la Verna;
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Il Presepio con la Madonna che presenta il Bambino a S. Francesco: Betlemme e Greccio. Sulla grotta vi è poggiata la cometa di Halley, riapparsa nel 1985, anno di collocazione del portale;
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La predica agli uccelli.
Struttura e decorazione della chiesa attuale appartengono agli ampliamenti e rifacimenti settecenteschi; è noto che nel 1777 i maestri Salvatore Trinchera e Francesco Greco ne curarono gli interni decori. L’interno, a navata unica, presenta un impaginato omogeneo nelle linee e negli ornati. Colpisce per lo splendore architettonico delle linee settecentesche, ritmato dalla sapienza compositiva di colonne, lesene e cornici, segnato dalla leggiadria dei capitelli corinzi e coronato infine, sulla sommità delle volte armoniose, dallo slancio della cupola, mirabile per leggerezza e grazia. Il tutto con ricchezza di effetti luministici e scenografici.
In questa cornice si incastonano gli altari. L’altare maggiore, quello del presbiterio, capolavoro di intarsio di marmi preziosi, fa pensare, per raffinatezza e magnificenza, a quello della certosa di San Martino di Napoli, allo stile del Fanzago e, per i due angeli laterali, reggifiaccola, a Giuseppe Sanmartino (Napoli 1720 – 1793) o ad Angelo Viva (1748-1837) che del Sammartino fu il più prolifero e attento seguace senza tuttavia averne la piena forza espressiva. L’Angelo di destra guarda in alto ed esprime l’Estasi; quello di sinistra guarda in basso ed esprime la Meditazione. Il presbiterio è delimitato da una preziosa balaustra, con intarsi e teste di cherubini, simili in tutto a quelle che ornano il paliotto, ossia la parte inferiore della mensa dell’altare maggiore: sono da ammirare per la morbidezza delle forme e la dolce intensità degli sguardi.
L’organo è del 1882 ed è stato costruito da Tommaso Alvano di Napoli. La balaustra della elegante cantoria porta una scritta in latino che indica nel 1780 l’anno della costruzione dell’altare maggiore.
L’altare dedicato all’Immacolata, nel Iato sinistro del transetto, quasi coevo a quello del presbiterio. pur nella diversità di stile, più sobrio e più imponente, per materiali e fattura artistica si apparenta all’altare maggiore. È da ammirare il tronetto del Santissimo al di sopra del tabernacolo, con i quattro cherubini, gioielli di morbida e raffinata bellezza.
Gli altri altari, lavorati in pietra gentile, sono da attribuirsi ai fratelli Morgese, Quello del transetto ripete in pietra locale le linee dell’altare che gli sta di fronte, imitandone per approssimazione la forma e i colori del marmo. L’imitazione sembra perfetta, tranne che nella modellatura dei quattro cherubini: qui si misura la distanza, ed è tanta, tra l’originale e l’imitazione. Su quest’ultimo altare vi è un bassorilievo in cartapesta della Madonna del Rosario di Raffaele Caretta, maestro leccese, de1 1917.
Vi sono infine quattro altari della navata, più piccoli, ma estremamente raffinati e graziosi. Scolpiti nella tenera pietra locale, simile ma non uguale a quella leccese, sono frutto di un raffinato scalpello artigianale, che per effetti compositivi e leggiadria di fregi, ha superato se stesso. Vanno ammirati per se stessi, ognuno come opera indipendente. È a tutti comune la bianchezza della pietra con le sue striature lasciate dal tempo. Lo svariare delle linee agili ed eleganti, pur nel loro rigore geometrico, il leggero cascare dei ricami, ci riportano al barocco leccese; ma qui lo scalpello ostunese ha una proprietà di tocco che gli dà freschezza e originalità, distinguendolo da quello leccese.
Gli altari sono dedicati il primo e il secondo a destra entrando a Sant’Agostino e alla Madonna Addolorata. Nelle nicchie sono le rispettive statue; quella di Sant’Agostino, lignea, è secentesca. Nel secondo altare vi è anche il Cristo Morto, simulacro che la confraternita portava in processione assieme all’Addolorata e agli altri misteri al mattino del Venerdì Santo, sino agli anni 50 del ‘900.
Sul pilastro sinistro, prima del vano dominato dalla cupola, è il pulpito in pietra che ha al centro lo stemma francescano, della stessa epoca e fattura degli altari minori.
Al lato sinistro vi sono i due altari dedicati alla Sacra Famiglia e a Sant’Antonio di Padova. Sul primo vi è una tela del settecento; sul secondo un bassorilievo in cartapesta, firmato da Raffaele Caretta, un vero maestro del settore, de1 1919. Raffigura Sant’Antonio che distribuisce il pane ai poveri.
La chiesa possiede le statue, dell’inizio di questo secolo, dei Misteri del Venerdì Santo, parte delle quali sono allineate a fianco all’altare sinistro della crociera. Sono quelle che tuttora sfilano nella processione cittadina del Venerdì Santo. Il primo di tali misteri è Gesù nell’Orto. Una tale statua veniva addobbata con aranci selvatici, derivati dall’arancio amaro che si vuole san Francesco avesse lasciato in Ostuni, al suo ritorno dalla Terra Santa.
Le statue più belle che la chiesa possiede sono quelle lignee dell’Immacolata di scuola napoletana, in legno, de1 1719, dello scultore Giacomo Colombo (Este, 1663 – Napoli, 1731 ca.) e l’altra, a lui pure attribuibile, del 1689, a mezzo busto, di San Giuseppe con Bambino, proveniente da Napoli, dono della duchessa donna Geronima, moglie del duca Francesco II degli Zevallos, già nella cappella di famiglia. Il Colombo fu un grande artista-imprenditore, titolare di un’affermatissima bottega operante a Napoli a cavallo tra l’ultimo decennio del XVII secolo e il primo trentennio del successivo secolo. Sue opere, e altre attribuite alla sua bottega, sono disseminate un po’ in tutto il Viceregno spagnolo dell’Italia meridionale e in Spagna.
La chiesa possiede altre sculture in legno tra cui i bassorilievi della raffinata Via Crucis che si ammira alle pareti. collocata nel 1989; i personaggi quasi in grandezza naturale, per il presepio che la chiesa allestisce nel periodo natalizio; i bassorilievi della scena del Calvario sul confessionale dietro l’altare maggiore. Sono ancora da ammirare le vetrate, per la luminosità e ricchezza della gamma cromatica; collocate nel 1989, sono opere di Gaetano Valerio, eseguite dalla ditta Mellini di Firenze. Rappresentano Maria e Francesco, dietro l’altare maggiore, al di sopra dell’organo, Maria e Giuseppe, sul Iato sinistro della crociera, Maria e Giovanni, sul Iato destro della crociera, Maria e Cristo, al di sopra della porta di ingresso; altre tre vetrate più piccole sono alle finestre: La Vergine che offre il calice, Sant’Anna e Maria, Maria ed Elisabetta. Negli otto ovali della cupola le vetrate riproducono altrettanti simboli mariani: II monogramma di Maria, l’Eden, il Giglio, il Roveto, il Fonte d’acqua, il Cuore trafitto, l’Arca con la colomba del diluvio, la Scala di Giacobbe.
Nei peducci della cupola, nei medaglioni della volte e nel vano delle tre finestre finte del Iato sinistro, Mario Colonna, artista di Bari, nel 1988-89 ha affrescato i Quattro Evangelisti, la Gloria dell’Immacolata, nel presbiterio, la Creazione di Adamo, nella crociera sinistra), la Pentecoste, nella crociera destra, l’Annunciazione, l’Ascensione, nella navata, l’Adorazione dei Magi, il Ritrovamento di Gesù nel tempio e le Nozze di Cana, su finestre finte; nei medaglioni delle pareti del presbiterio, dietro l’altare maggiore, figurano a sinistra l’Arcangelo san Michele, a destra l’Arcangelo san Raffaele. L’artista ha saputo raccordare il suo stile di pittore moderno, sensibile ai valori della grande tradizione, alle linee architettoniche della chiesa e allo stile delle opere d’arte già in essa presenti.
Nei quadri si ammira soprattutto la chiarezza e vivezza dei colori e il vigore dei volti dei personaggi. Degna di attenzione la tela sulla porta principale, raffigurante Mosè che spezza le tavole delle legge, dinanzi alla statua del vitello d’oro. Il movimento delle masse e il raccordo cromatico denunciano il chiaro influsso di Luca Giordano o della sua scuola con particolare riferimento ad Andrea Miglionico (c. 1662-dopo il 1735?).
L’arciconfraternita dell’Immacolata gestisce la monumentale Croce Luminosa collocata sulla collina, a fronte del mare, nei pressi della città. A detta confraternita bisogna pertanto rivolgersi, per l’accensione o per la chiave del cancello, necessaria per la visita del monumento.