Non lontano dal santuario di Mater Domini, nella periferia di Mesagne, è ubicato il convento dei cappuccini, recentemente restaurato, in uno coi resti di Santa Maria di Stigliano. È possibile che in origine il polo cultuale facesse riferimento a un insediamento monastico di rito greco. Nel 1104 il conte Goffredo di Conversano nel contesto della sua politica di subordinazione degli insediamenti di greco sentire a istituzioni latine la cedette al monastero di Santa Maria di Nardò. Attualmente la chiesa, in cui sono visibili i segni di un affresco con caratteri bizantineggianti, a unica navata con volta a botte, è inglobata nella struttura conventuale. Le uniche descrizioni di Santa Maria di Stigliano, “dotata di pingue abadia in prima di patronato regio e poi di patronato dei signori che successivamente possederono questo feudo”, sono nelle relazioni del Regio Tavolario Pietro Vinaccia e nei verbali relativi alla cessione fatta dall’amministrazione per il Fondo del Culto a vantaggio del comune di Mesagne.
La chiesa oggi appare completamente inglobata nella struttura del convento e non distinguibile dall’esterno. In alto, fino a qualche decennio fa, si poteva osservare un campanile a vela che accoglieva una campana dal peso di un quintale. Al suo interno sono state rinvenute diverse tracce di affreschi in attesa di restauro conservativo.
La fondazione cappuccina è databile al 1539 allorché ai frati venne concessa in uso, grazie a un accordo che coinvolgeva la municipalità di Mesagne, la chiesa. Il monastero fu illustrato dalla presenza di notevoli esempi di vita spirituale quali Giacomo da Molfetta, che vi si spense il 1561, e Angelo da Castellaneta, che vi terminò i suoi giorni il 1567, rispettivamente secondo e settimo ministro provinciale della provincia di San Girolamo. Celebre fu il padre Pietro da Mesagne “sacerdote di molte virtù, e che ancora operò molti miracoli” morto nel 1576. In Mesagne, il 1577, i cappuccini ora della provincia d’Otranto, detta di San Nicolò, elessero l’8 maggio quindicesimo ministro provinciale il padre Cherubino da Noci. A proposito di Giacomo da Molfetta le cronache cappuccine riferiscono:
“dopo quattro anni di sepoltura fu trovato il suo corpo incorrotto, che salava un soavissimo odore. Per l’alto concetto di santità, che lasciò di sé dopo la morte, il popolo di Mesagne gli eresse una statua, che fino al giorno presente [1730], si mira sul frontespizio della nostra chiesa di detta Terra”.
Intorno a questa chiesa i frati si insediarono in alcuni vecchi tuguri usati precedentemente dai monaci creando il primo nucleo di quello che sarebbe diventato il futuro convento. Ciò avvenne nel 1548 per le premure di Lucantonio Resta, allora arciprete della Collegiata di Mesagne e del padre Antonio da Putignano che il primo invitò a predicare una quaresima. I lavori furono portati a compimento tra il 1550 e il 1555. Lo stemma della famiglia Albricci, posto sulla facciata ovest del convento, attesta il seriore concorso che vi ebbe Giannantonio Albricci, divenuto signore di Mesagne nel 1591.
Per la soppressione del 1866 i cappuccini dovettero abbandonare il convento; del patrimonio “sperduto, manomesso, involato” dei cappuccini permangono i 1925 volumi confluiti nella civica biblioteca di Mesagne e le tele con rappresentazione del Cristo Salvator Mundi, i Tredici Apostoli, San Francesco d’Assisi, San Lorenzo da Brindisi ora conservate nella parrocchiale della Santissima Annunziata.
La struttura venne incamerato dal Fondo per il Culto divenendo per alcuni anni caserma delle Guardie Doganali di Brindisi e successivamente scuola e asilo di mendicità. Incamerata nelle proprietà comunali fu ridefinita quale carcere mandamentale. Il 25 agosto 1928 cominciarono i lavori di ristrutturazione dell’immobile per essere adeguato alla nuova destinazione. Rimase tale fino al 1971 quando, per l’aumento notevole della popolazione carceraria, gli amministratori ne decidessero la chiusura.
Il complesso di Santa Maria rimase in abbandono o utilizzato come deposito comunale fino a quando, grazie al Giubileo 2000, non si reperirono i finanziamenti necessari per la trasformazione in Casa del Pellegrino. Ciò ha consentito la riscoperta di notevoli testimonianze artistiche, quali gli affreschi di San Francesco Cappuccino, per secoli rimasti nascosti sotto una coltre di calce e oggi restituiti alla pubblica fruizione.