Mentre viviamo l’Ottobre missionario, è giunta una testimonianza dal Kenya, che si ricollega al nostro don Donato Panna. La pubblichiamo con l’augurio di crescere tutti nella sensibilità per l’evangelizzazione dei popoli.
“Carissimi, era da tanto che volevo mettere giù qualche parola che potesse rendervi partecipi di quanto finora ho vissuto e continuo a vivere qui in Kenya come Missionario della Consolata.
Io sono Ludovico Tenore, 32 anni, di Mesagne. Sono stato mandato in Kenya dopo aver vissuto un anno e tre mesi in Argentina. I miei superiori, dopo la mia prima professione, hanno deciso di inviarmi qui. Sono stato contento da subito in quanto il Kenya per me rappresenta la culla della mia vocazione missionaria, avendo vissuto proprio qui la mia prima esperienza di missione grazie al nostro caro don Donato Panna, che nel 2006 mi ha contagiato, come solo lui sapeva fare, di questo spirito missionario che traboccava dalle sue parole e soprattutto dalle sue azioni.
Tornando però ad oggi, ho vissuto da subito molte difficoltà all’ inizio: la lingua, la cultura, il cibo, il modo di pensare della gente, le loro tradizioni, tutto. Ho avuto subito una crisi, tanto da chiedermi “Cosa sto facendo? Dove sto andando?” Poi piano piano il condividere con la gente la quotidianità e le cose più semplici mi hanno fatto ritrovare quelle motivazioni che, arrivando in una realtà completamente nuova, avevo un po’ perduto per strada. Ero partito dall’ Italia con le mie convinzioni e certezze, ma qua è stato distrutto tutto. Sono arrivato in Kenya con una fede che nelle realtà che scopro ogni giorno, non sta in piedi e viene schiacciata da situazioni che mai avrei immaginato di vivere. Benedico però il Signore per avermi privato della vecchia fede donandomi una fede che ancora non so gestire, ma che sicuramente è più matura e con il tempo capirò davvero cosa vuol dire “credere in Cristo”.
Ad oggi credo di poter dire che fidarsi di Dio qui più che una scelta diventa quasi un obbligo. Vi sembrerà cruda quest’ espressione… ma tante situazioni e realtà ti tolgono così tanta forza, sicurezza e creatività che credevi di avere che comprendi quanto sia necessario (fino ad esserne obbligati) a mettere tutto nelle Sue mani. Solo stando qui ho capito che un missionario non deve FARE nulla, ma deve ESSERE. La gente è felice quando sa di poter avere un punto di riferimento, una spalla dove poter poggiare le proprie sofferenze. E anche io quando riesco in tutto questo, comprendo come tante altre volte avevo sprecato tempo ed energie per fare chissà cosa, non raggiungendo scopo alcuno. Poiché lo scopo è sempre Lui: Cristo. Vi scrivo inoltre dopo aver riflettuto su un passo del Vangelo, il mio preferito: Marta e Maria, e mi veniva da fare un esempio che condivido anche con voi:
quando qualcuno viene a casa a trovarci, la prima cosa che facciamo è togliere di mezzo le cianfrusaglie in fretta e furia. Quando poi l’ ospite è ormai in casa lo invitiamo a prendere posto e mentre lui/lei inizia a parlare noi girovaghiamo per la cucina per prendere bicchieri, preparare la moka, tirare fuori dal frigo qualche bevanda fresca o andare a prendere in qualche angolo sperduto della casa un buon whiskey da poter offrire. Non ci rendiamo conto come tutta questa agitazione nell’ essere impeccabili verso chi ci visita, offrendo l’ impossibile, in realtà ci distoglie proprio da chi è venuto a casa per parlare con noi, per incontrarsi, per guardarsi, ascoltarsi. Questo accade tante volte nelle nostre parrocchie, dove presi da tante iniziative, incontri, preparativi, feste e cose varie, l’ ospite “invisibile” diventa proprio Gesù Cristo.
Dobbiamo cercare di tornare alla fonte ascoltando di più Colui che ci parla. I frutti di un buon operato li raccoglieremo solo quando le nostre azioni scaturiscono da un attento ascolto della sua Parola; in caso contrario, tutte le nostre azioni ci riempiranno solo di auto gratificazione lasciandoci però orfani di Dio.
Questa riflessione è per dirvi quanto a volte anche qui si rischia di perdere il punto di riferimento, il più importante, l’ essenziale. La tentazione più grande anche per noi missionari è sempre l’ auto gratificazione. Vi prometto però che cercherò di crescere in questo. Dobbiamo crescere tutti insieme. Siamo tutti in missione. Come dico sempre io: “La missione non è un luogo, ma uno stile di vita”. Ho sempre creduto e credo nella missione vissuta lì dove ognuno di noi si trova. Basta solo andare oltre il proprio naso e guardarsi un po’ intorno e ci accorgeremo che il territorio è intriso di missione.
Non voglio stancarvi più di tanto, per ciò vi lascio e torno ai miei impegni quotidiani. Vi abbraccio forte. Abbraccio ognuno di voi fraternamente.
A prestissimo. Una preghiera.
Ludovico”