Leggendo articoli e riflessioni presenti sulle riviste e sul web, la perplessità è l’atteggiamento ricorrente nel valutare il percorso sinodale, quello già compiuto e quello da compiere. Il senso di sfiducia (“Tanto non cambierà nulla”) critica la complessità delle varie fasi, la vaghezza di tante domande su cui riflettere e la mancanza di chiarezza dell’obiettivo finale da raggiungere. A questo si aggiunge la costatazione che, dopo il lavoro fatto in fretta per consegnare il frutto del percorso sinodale del primo anno in tempo utile, spesso comunità e gruppi hanno tirato i remi in barca nell’attesa poco creativa che dall’alto vengano dettati i tempi per proseguire il lavoro. Non si tratta di pregiudizi dei soliti criticoni: c’è la costatazione di un percorso lento e a ostacoli
L’aspetto più problematico riguarda la prospettiva di fondo: tappe, scadenze anche dilatate nel tempo come vanno comprese: si tratta di cose da fare o di cose da vivere? Sono episodi anche belli o si tratta di processi che devono lasciare una traccia? Se consideriamo tutto il movimento sinodale come una cosa da fare, si tratta di aggiungere ulteriore peso ai tanti che già rendono faticoso il cammino ordinario della pastorale. Se si tratta di cose da vivere, cambia radicalmente la prospettiva. Ci troviamo di fronte al mistero della Chiesa come emerge dalla volontà di Gesù che l’ha fondata e come l’ha riproposta il Concilio Ecumenico Vaticano II. E, ovviamente, si tratta di dirci con chiarezza con quale spirito affrontiamo il percorso sinodale mediante il quale la Chiesa si sta chiedendo come servire e realizzare meglio il desiderio del Signore.
Una prima domanda riguarda la responsabilità personale: cosa è per me la Chiesa? Come la vivo? Il Battesimo inserisce nelmistero della Chiesa, Popolo di Dio, come strumento ordinario scelto da Cristo per proseguire nello scorrere del tempo l’annunciodel Vangelo e proporre la sua salvezza a tutti. Non si può prendere vera coscienza di questo dono accontentandosi di vivere la logica dello spettatore o di chi desidera avere solo servizi religiosi. Il processo sinodale richiede che ciascuno si metta in gioco perché il rinnovamento della Chiesa e il suo servizio al mondo dipende anche da ognuno. La posta in gioco è bella e impegnativa. Si tratta di passare da una visione della Chiesa costruita intorno al sacramento dell’Ordine a una visione di Chiesa che privilegia il primato del Popolo di Dio al cui servizio sono tutti i carismi e ministeri, compreso il sacramento dell’Ordine. E’ necessario allora che tutti abbiano la consapevolezza che le capacità e risorse personali, sono date per la utilità comune. e che dentro la manifestazione visibile della Chiesa devono essere ben presenti, riconosciuti e valorizzati tutti i doni che Dio fa a ciascuno per il bene della Chiesa e del mondo.
Un secondo aspetto riguarda la coscienza ecclesiale delle comunità, che a volte hanno più il volto di stazione di servizi religiosi tradizionali, anziché di fratelli e sorelle che si sostengono nella custodia e nella crescita della fede e che si fanno compagni di strada di chi è in ricerca o sta muovendo i primi passi nell’incontro con Cristo. Il prendersi cura della propria vita di fede e di quella dei fratelli appartiene alla logica dell’amore, indicato da Gesù come unico segno di riconoscimento per la Chiesa di tutti i tempi. In questo prendersi cura reciprocamente, nello stile della libertà e della gratuità, nasce nel tempo, con la forza dello Spirito Santo, la Chiesa del Signore Gesù. In una preghiera eucaristica la Chiesa così viene presentata e desiderata: “La tua Chiesa sia testimonianza viva di verità e di libertà, di giustizia e di pace, perché tutti gli uomini si aprano a una speranza viva” (Preghiera eucaristica IV: Gesù passò beneficando)
Questo anelito di Chiesa è spesso presente nei frutti che il cammino sinodale ha finora prodotto: in diocesi c’è una corposa e dettagliata sintesi, la CEI nell’estate scorsa ha pubblicato la sintesi nazionale e in contemporanea le tracce per il 2 anno di cammino sinodale: “I cantieri di Betania”, concepiti come tappe di approfondimento e come inizio di spunti per avviare il desiderato rinnovamento della vita della Chiesa e dei credenti. Si tratta di compiere ulteriori passi in avanti: occorre rendere più profondo e coinvolgente l’ascolto delle persone e rischiare di capire le ragioni dei modelli di vita che oggi orientano l’esistenza di tanti, specie dei giovani. Ma soprattutto è il momento di individuare insieme delle risposte possibili perché l’accoglienza declamata e desiderata diventi possibilità e realtà. Non è facile questo tentativo perché le richieste di chi vive situazioni di difficoltà personali o familiari o di chi vive in maniera diversa il rapporto con il proprio corpo e desidera davvero incontrare o continuare a cercare il Signore, devono affrontare spesso un percorso a ostacoli nell’attuale cammino della Chiesa: le indicazioni pieni di paletti del Magistero, la riflessione teologica non univoca, le norme del Codice di diritto canonico e la titubante capacità di comprensione e di conversione del Popolo di Dio. Non si tratta di stravolgere il deposito della fede, ma di dare piena attuazione a un punto fermo proprio della fede: Dio continua ad essere Padre di tutti questi fratelli e sorelle e ha anche per loro un progetto di salvezza. Come? Ritengo che questa è la fatica che una Chiesa davvero sinodale è chiamata a compiere oggi.
Sac. Angelo Ciccarese