
Care sorelle e cari fratelli della Chiesa diocesana di Brindisi-Ostuni,
leggendo il titolo che ho pensato di dare a questo messaggio pasquale potreste restare un po’ perplessi, perché capisco che non è proprio l’ideale a Pasqua parlare di ossa aride, di un corpo morto, quando celebriamo il trionfo della vita in Cristo risorto.
Tuttavia, pensando al cammino pastorale che, come Chiesa diocesana, stiamo facendo per cercare di cogliere la fisionomia del tempo che stiamo vivendo e il volto del mondo che abitiamo e capirne il cambiamento in atto, per annunciare adeguatamente Cristo nostra speranza, ho pensato di offrire un ulteriore motivo di riflessione in occasione di questo momento centrale dell’anno liturgico che è la celebrazione del Mistero pasquale di Cristo morto, sepolto e risorto.
All’immagine biblica della strada deserta (At 8,26-40), riportata nelle Linee pastorali di quest’anno, sulla quale abbiamo avuto modo di riflettere ampiamente, ho voluto accostare quella delle ossa aride, riportata dal profeta Ezechiele nella celebre visione della pianura piena di ossa (Ez 37, 1-14), che sarà occasione di riflessione in questo messaggio pasquale.
Il profeta Ezechiele ha una visione: è portato dalla mano del Signore in una pianura piena di ossa, agli occhi del profeta si presenta una scena raccapricciante di ossa di morti, ormai aride e in avanzato stato di decomposizione.
Il Signore pone al profeta una domanda: “Figlio dell’uomo, potranno queste ossa rivivere?” (Ez 37,3); il profeta è giustamente sorpreso del fatto che Dio pone a lui questa domanda e non sapendo cosa rispondere rispedisce la domanda al mittente, dicendosi certo che il Signore saprà cosa fare davanti a quella situazione drammatica.
Attraverso questa immagine il Signore vuole rivelare, al profeta Ezechiele, la situazione del popolo di Dio e, dopo questa, il testo rivelerà l’identità delle ossa aride; vuole aiutare il profeta a prendere coscienza della situazione di morte, certamente non fisica, ma spirituale, morale, sociale, religiosa che il popolo sta vivendo.
Per lo stesso motivo, ho pensato che questo testo di Ezechiele può rivelare a noi la situazione attuale che viviamo: il nostro mondo appare una immensa distesa di ossa aride, in decomposizione e noi potremmo aggiungere che, il nostro mondo, è anche in macerie non solo materiali, frutto della distruzione delle guerre in corso, ma anche macerie umane, frutto di relazioni sbagliate, di scelte politiche disastrose fatte sempre e solo sulla pelle dei poveri, di schemi di benessere individuale, di una religione vissuta ormai sempre più come momento di socialità, di un ambiente sempre più preda di insaziabili interessi economici.
Non ci deve sfuggire che, come al profeta Ezechiele, così oggi a noi, è il Signore che ci sta rivelando questa situazione che stiamo vivendo, non è l’analisi pessimistica di un sociologo o la propaganda di qualche cassandra di turno, ma quanto lo Spirito del Signore ci aiuta a cogliere con gli occhi della fede.
Il nostro è un tempo di grande aridità, in tutti i campi del vivere umano, un tempo di decomposizione di tante situazioni umane, sociali, religiose, politiche che in passato funzionavano e che col passare del tempo si sono andate decomponendo, forse non solo perché segnate dal logorio del tempo, ma anche perché colpite dalla nostra incuria, dal pressapochismo, dalla superficialità e da quella voglia di inconfessato individualismo che ci pervade un po’ tutti.
A noi, discepoli del Signore, sempre più disorientati, il Signore pone la stessa domanda del profeta: «Potranno queste ossa rivivere?». Da parte nostra vorremmo replicare al Signore: “Signore, noi aspettiamo da te non solo la risposta ma anche la soluzione. Noi non siamo abituati a gestire queste situazioni di disagio, anche perché, onestamente, ci siamo dentro fino al collo e siamo smarriti”.
Invece, qui, come sulla strada deserta, il Signore ci lancia la sfida: «Profetizza su queste ossa e annuncia loro: “Ossa inaridite, udite la parola del Signore. Così dice il Signore Dio a queste ossa: Ecco, io faccio entrare in voi lo spirito e rivivrete. Metterò su di voi i nervi e farò crescere su di voi la carne, su di voi stenderò la pelle e infonderò in voi lo spirito e rivivrete. Saprete che io sono il Signore”».(Ez 37, 4-6).
A noi, il Signore non chiede di attendere inoperosi soluzioni miracolistiche ma di collaborare ritornando ad annunciare la Parola di Dio: una parola di vita, di speranza, di rinascita, di rinnovata fecondità generativa. Dunque, siamo invitati dal Signore a passare dal disorientamento all’annuncio, a una rinnovata evangelizzazione, che possa avviare processi di rinascita, di rigenerazione, di ritrovata vitalità evangelica.
Il profeta Ezechiele appena profetizza vede quelle ossa ricomporsi e tornare a diventare corpi a cui però manca ancora lo spirito; perciò, Dio invita il profeta a invocare lo Spirito: «Così dice il Signore Dio: Spirito vieni dai quattro venti e soffia su questi morti, perché rivivano» (Ez 37, 9); appena lo Spirito entrò nei corpi ricostruiti, tornarono in vita e si alzarono in piedi: sono risorti.
Potremmo pensare che l’obiettivo sia raggiunto e che possiamo decretare la fine come in tutte le belle favole e scrivere “vissero felici e contenti”, in realtà è solo l’inizio di un percorso di rinascita, per ritrovare il gusto della vita; non si tratta solo di ricostruire ma è necessario imparare a vivere e a vivere secondo Dio.
La lotta più difficile è ricominciare a vivere, scuotersi di dosso la ruggine della morte, rinascere dall’acqua e dallo Spirito per ritrovare la mentalità di Cristo.
Oggi, a noi Chiesa, questo Dio sta chiedendo di annunciare ai morti del nostro tempo la vita eterna e invocare lo Spirito perché scenda per restituire vita a tutte le cose; dobbiamo fare nostra l’invocazione che deve salire insistente a Dio: Manda il tuo Spirito Signore e rinnova la faccia della terra!
L’opera di evangelizzazione da intraprendere in questo nostro tempo non potrà essere solo trasmissione di contenuti di fede ma testimonianza, anche silenziosa, di vita, perché ricominciare a vivere secondo Dio e il vangelo è la difficile sfida che il Signore propone a noi e a tutti coloro che si lasciano invadere dallo Spirito del Risorto.
Per indicare a noi che ricominciare a vivere è un percorso impegnativo da decidere prima di tutto nel cuore, il racconto di Ezechiele prosegue con un rinnovato invito che il profeta deve far giungere alle orecchie e al cuore del popolo: «Così dice il Signore Dio: Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d’Israele. Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri, o popolo mio. Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete» (Ez 37, 12-14).
È la descrizione di un parto: un sepolcro si apre, come un grembo, e una creatura viene fuori per assaporare l’aria di una vita nuova. Dio è colui che ci ridona quello che abbiamo perduto: la vita, perché Lui non ha abbandonato il suo Figlio nel sepolcro e non abbandonerà nemmeno noi.
Qui, però, occorre porre una domanda che Gesù poneva ad alcune persone che chiedevano di essere guarite: «Vuoi guarire?» (Gv 5,6), oppure: «Che cosa vuoi che io faccia per te?» (Mc 10,51); è necessario che maturi in noi concretamente la volontà di uscire dalle nostre tombe, di accogliere l’opera di risurrezione che il Signore ha pensato per noi.
Vogliamo veramente uscire dalle nostre tombe? Desideriamo spezzare tutte le logiche e le dinamiche di morte che ci inaridiscono e mandano in decomposizione la vita buona del vangelo?
Nella Evangelii Gaudium, Papa Francesco, già da tempo ci metteva in guardia dalla psicologia della tomba e dal triste grigiore della vita che ne deriva: «Così prende forma la più grande minaccia, che “è il grigio pragmatismo della vita quotidiana della Chiesa, nel quale tutto apparentemente procede nella normalità, mentre in realtà la fede si va logorando e degenerando nelle meschinità”. Si sviluppa la psicologia della tomba, che a poco a poco trasforma i cristiani in mummie da museo. Delusi dalla realtà, dalla Chiesa o da se stessi, vivono la costante tentazione di attaccarsi a una tristezza dolciastra, senza speranza, che si impadronisce del cuore come “il più prezioso degli elisir del demonio”: Chiamati ad illuminare e a comunicare vita, alla fine si lasciano affascinare da cose che generano solamente oscurità e stanchezza interiore, e che debilitano il dinamismo apostolico. Per tutto ciò mi permetto di insistere: non lasciamoci rubare la gioia dell’evangelizzazione!» (EG 83).
Se siamo ancora nelle nostre tombe, il Signore viene a cercarci perché Lui non vuole che facciamo finta di vivere ma vuole che viviamo in pienezza, in quanto si presenta a noi dicendo: «io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10).
Siamo chiamati a illuminare il mondo che abitiamo con la luce di Cristo, non con le nostre luci artificiali che spesso illuminano noi stessi, per metterci in mostra, e a comunicare vita, avviando percorsi e processi che aiutino le persone del nostro tempo a gustare la vita, riportandola nell’orizzonte dell’eternità.
In questo anno giubilare, come pellegrini di speranza, abbiamo l’occasione di riscoprire la virtù teologale della speranza che «imprime l’orientamento, indica la direzione e la finalità dell’esistenza credente» (Spes non confundit, 18). Per ritrovare la vita, per riprendere a vivere, dopo l’esperienza della tomba, occorre ritrovare l’orientamento, la direzione e il fine della vita, che un progresso e un benessere, sganciato da ogni regola e limite, ripiegato su se stesso, ubriaco di risorse economiche, ha svuotato di ogni orizzonte di eternità e ha semplicemente educato al carpe diem senza limiti.
Già il Concilio Vaticano II ci aveva messi in guardia: «Se manca la base religiosa e la speranza della vita eterna, la dignità umana viene lesa in maniera assai grave, come si constata spesso al giorno d’oggi, e gli enigmi della vita e della morte, della colpa e del dolore rimangono senza soluzione, tanto che non di rado gli uomini sprofondano nella disperazione» (GS 21).
Quanta morte c’è oggi nel nostro mondo! Morte e distruzione dovuta alla guerra, che è comunque sempre un’avventura senza ritorno, morte per la dignità umana di tante persone ignorate da qualsiasi progetto politico e schiacciate dallo strapotere dell’economia, sempre a servizio degli interessi di una élite, morte delle genuine relazioni umane e dei legami maturi che formano le persone, morte del senso di comunità, che tesse quella rete di relazioni che aiutano a convergere sul bene comune, più che sull’interesse privato, morte anche della nostra esperienza di vita cristiana autentica, sempre più declassata o a convenzione sociale o a spazio di esibizione e visibilità o a rifugio sicuro in un mondo che va a rotoli e ha ripudiato il regime di cristianità.
Potranno queste ossa rivivere? Si, rivivranno, se noi cristiani per primi, ci lasceremo rievangelizzare dallo Spirito del Cristo risorto e torneremo ad essere parte di quel corpo vivente di Cristo che è la Chiesa e risorti con Cristo, formati alla speranza, ritroveremo i giusti riferimenti della vita ed evangelizzeremo i tanti morti, le tante situazioni di morte e le macerie di questo nostro mondo.
Per noi oggi risuona l’antico comando dato dal Signore al profeta Giona: «Alzati, va’ a Ninive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico» (Giona 3,2).
Siamo chiamati come Chiesa e come singoli a ritrovare la postura dei risorti in Cristo, nel battesimo. Alzati, è l’imperativo rivolto a noi oggi dallo Spirito Santo, di cui dobbiamo metterci in ascolto, per accogliere la diagnosi che offre di noi e della nostra fede e dalla quale è necessario ripartire: «Sii vigilante, rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire, perché non ho trovato perfette le tue opere davanti al mio Dio. Ricorda dunque come hai ricevuto e ascoltato la Parola, custodiscila e convertiti» (Ap 3, 1-3). È necessario ritrovare il vigore battesimale della vita nuova in Cristo, per poter accettare la sfida dell’evangelizzazione e andare alle nostre Ninive di oggi e annunciare quanto il Signore ci dice.
«Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene» (Rm 8,9): se non abbiamo lo spirito di Cristo, la mentalità che aveva Gesù, se non incarniamo lo stile di Gesù, i suoi atteggiamenti di vita e le sue relazioni con gli altri, non saremo capaci di evangelizzare i morti del nostro tempo e orientarli su percorsi di vita nuova.
San Paolo nella Lettera ai Romani ci ricorda che siamo «viventi, ritornati dai morti» (Rm 6, 13), nella nostra vita è inscritto il mistero pasquale di Cristo, per cui non possiamo che produrre gesti, progetti, pensieri, relazioni di vita non di morte, per indicare agli uomini e donne del nostro tempo un orizzonte di speranza che ci restituisce il senso pieno della vita.
È questa la missione che ci attende e a cui non possiamo sottrarci: essere ferventi nel bene, senza alcuna paura, adorando Cristo nei nostri cuori «pronti sempre a rispondere a chiunque vi domanti ragione della speranza che è in voi. Tuttavia, questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo» (1 Pt 3, 15-16).
Rendere testimonianza della speranza che fa la differenza nella nostra vita e farlo con dolcezza, rispetto e retta coscienza, tratti caratteristici di una vita differente che, nell’attuale mondo in macerie, dice che il discepolo del Signore risorto è una persona scomoda che non potrà mai accettare di produrre o tollerare segni di morte quali la guerra, le disuguaglianze sociali, il razzismo, il deturpamento dell’ambiente, l’umiliazione della donna fino alla morte, la violenza in tutte le sue versioni, compresa la violenza del linguaggio, la non accoglienza del diverso e dello straniero, la soppressione della vita dal concepimento fino al suo tramonto naturale, la corruzione, l’emarginazione dei poveri.
Perciò, ancorati in Cristo, fermi nel voler annunciare il Verbo della vita, per questa annuale celebrazione della Pasqua, che vedrà noi cristiani di diverse confessioni celebrarla tutti lo stesso giorno, vogliamo incoraggiarci a vicenda: «Svegliati, tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà» (Ef 5, 14), e continuare a testimoniare al mondo che «Cristo, mia speranza, è risorto: precede i suoi in Galilea» (Sequenza del giorno di Pasqua).
Pur se tra le macerie di questo mondo in frantumi
BUONA PASQUA
+ Giovanni Intini