Omelia per la messa di apertura diocesana del GIUBILEO del 2025

                                                          Festa della Santa Famiglia di Gesù, Giuseppe e Maria.

 

  • Poi vidi: ecco, una porta era aperta nel cielo. La voce, che prima avevo udito parlarmi come una tromba, diceva: “Sali quassù, ti mostrerò le cose che devono accadere in seguito”.“(Ap 4,1).

In questo tempo santo che il Signore ci dona, si apre davanti a noi una porta, di cui le porte delle Basiliche romane che siamo invitati ad attraversare nei nostri pellegrinaggi, sono il segno.

Si apre per noi la porta del cuore di Cristo: porta che ci invita a guardare le cose con occhio diverso: “Sali quassù, ti mostrerò le cose che devono accadere in seguito.”. Non è l’offerta di una previsione sul futuro, ma l’invito a varcare una porta, quella di Dio, che ci offre una visione diversa della vita.

Varcare la porta santa significa acquisire una prospettiva diversa per leggere la storia, le relazioni, le responsabilità, la missione cristiana.

Una prospettiva alta che ci sottrae alla tentazione di dire le parole che tutti vogliono sentirsi dire, e tornare alla forza genuina e illuminante del Verbo che si è fatto carne.

Varcare la porta significa desiderare di tornare a Dio, per guardare tutto con gli occhi di Cristo, il Verbo della vita, che illumina ogni uomo che viene in questo mondo.

Varcare la porta significa camminare nella direzione di orizzonti nuovi, prospettive nuove, rotte nuove ispirate dal Vangelo, fonte di genuina umanità.

Varcare la porta significa lasciarsi rinnovare nella mente e nel cuore dallo Spirito Santo, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto. (Rm 12, 2).

Però, non si può non constatare, che davanti alla porta di Dio che si apre, quante nostre porte restano chiuse e sono chiuse da tempo!

Porte blindate, che servono a custodire gelosamente tutto quanto noi riteniamo giusto e usiamo contro gli altri per indurli a cambiare “secondo noi” piuttosto che secondo Dio.

Sarà questo tempo di grazia giubilare il tempo in cui aprire le nostre porte, per

avviare un riorientamento della nostra vita?

  • Da una porta che si apre, parte il pellegrinaggio, come percorso di conversione.

“Beato l’uomo che trova in te il suo rifugio e ha le tue vie nel suo cuore. Passando per la valle del pianto la cambia in una sorgente; anche la prima pioggia l’ammanta di benedizioni. Cresce lungo il cammino il suo vigore, finché compare davanti a Dio in Sion.” (Sal 84, 6-8).

La precedente traduzione del testo sacro rendeva meglio l’idea della decisione: “Beato chi trova in te la sua forza e decide nel suo cuore il santo viaggio.”

Per aprire le porte chiuse della nostra vita è necessario decidere nel nostro cuore il santo viaggio, che non è possibile decidere, se non a partire dalla forza dello Spirito santo accolta in noi.

Ciascuno di noi sa come deve essere il santo viaggio da decidere e compiere: potrà bastare un pellegrinaggio alle sorgenti della fede, per riscoprire quello che veramente dà solidità all’esistenza; oppure servirà un vero e proprio esodo, per lasciarsi alle spalle spazi e situazioni di schiavitù, anche dorate, e approdare a terre di libertà, responsabilità e voglia di una vita autentica. Ma forse il nostro viaggio potrà chiederci difficili attraversamenti, come fu per Giacobbe, nel passaggio dello Iabbok, attraversamenti che chiedono lotte, da portare per sempre nella carne, come marchio di autenticità, per restare fedeli a Dio.

Anche le letture che ci propone la Chiesa in questa festa della Santa Famiglia, ci orientano al pellegrinaggio: pellegrinaggio di offerta del figlio Samuele al Signore, per Anna, che conduce il figlio a vedere il volto del Signore, per restare per sempre con Lui; pellegrinaggio interiore, di fede, da figli, verso la relazione piena col Padre, quello che ci ha proposto l’evangelista Giovanni, indicandoci la strada dell’amore vicendevole come prova di una fede autentica; pellegrinaggio di Gesù dodicenne al tempio di Gerusalemme, per condurre Maria e Giuseppe, sulla strada di un difficile cammino di comprensione del mistero della sua vita: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?

Sarà questo tempo di grazia giubilare, l’occasione propizia, per metterci in cammino verso cambiamenti più o meno difficili ma sempre salutari e necessari?

Senza la decisione del santo viaggio, non possiamo essere una Chiesa che passando per la valle del pianto la cambia in una sorgente; ci tocca sempre di più attraversare le strade di questo mondo e prendere atto che sono una valle di pianto, perché percepiamo la sofferenza, il disagio, l’ansia, l’angoscia delle donne e degli uomini nostri compagni di viaggio.

Il Signore ci ricorda la nostra responsabilità di cambiare la valle del pianto in una sorgente e questo sarà possibile non certo per poteri straordinari dovuti alla nostra bravura, quanto, piuttosto perché solo camminando nel pellegrinaggio della fede, sulle orme della moltitudine di testimoni che ci hanno proceduto, deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento. (cf Eb 12, 1-2).

E come il salmo ci ricorda: “Cresce lungo il cammino il suo vigore, finché compare davanti a Dio in Sion.”; la stanchezza, cioè, che spesso manifestiamo come singoli e come Chiesa, non deriva dal troppo camminare, ma dall’immobilismo e dalla staticità, che nascono dalla paura dei tempi nuovi e dall’abitudine a schemi collaudati, di cui non verifichiamo l’efficacia.

  • Camminare, per tornare alla radice della fede, che è il Dio Trinità, invece dà vigore e forza: “Dio eterno è il Signore, che ha creato i confini della terra. Egli non si affatica né si stanca, la sua intelligenza è inscrutabile. Egli dà forza allo stanco e moltiplica il vigore dello spossato. Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono; ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi.”(Is 40. 28-31).

È la speranza nel Signore che mette le ali ai nostri piedi, ma soprattutto alla nostra mente e al cuore, per farci decidere di metterci in cammino, per trasformare la valle del pianto in una sorgente di gioia, attraverso rotte nuove, nuovi progetti, relazioni sincere, equilibri ristabiliti e una testimonianza cristiana genuina, sincera e autentica.

Perciò, accogliamo il giubileo come tempo di grazia che ci viene offerto per ritrovare l’equilibrio della vita e ristabilire così l’armonia con Dio, con sé stessi, con gli altri e con il creato, attraverso una vita radicata e fondata nella fede, carità e speranza.

Ritorniamo a Dio…

Ritorniamo a curare, nutrire e rafforzare la nostra fede…

Ritorniamo a esercitare una carità genuina, che si nutre della Parola di Dio e dell’Eucarestia…

Ritorniamo alla speranza, orizzonte ultimo e senso autentico dei nostri progetti terreni e delle nostre lotte…

Ritorniamo a sognare e edificare una Chiesa, secondo il Concilio Vaticano II, senza coltivare estremismi ideologici…

Ritorniamo a relazioni che si ispirano a libertà, verità, responsabilità…

Ritorniamo a un percorso di vera conversione interiore, mentale, ecclesiale che parta da ciascuno di noi…

Ritorniamo ad essere presenti in città come cittadini degni del vangelo…

Ritorniamo a ricucire i rapporti usurati dal tempo o dal nostro egoismo…

Ritorniamo a riconoscere i nostri errori, per evitare di infangare il vangelo e il volto della chiesa…

Ritorniamo a curare la spiritualità, per spogliarci dell’abito ambiguo della mondanità…

Ritorniamo a una Chiesa povera e umile, che non dipende dalle potenze di questo mondo…

Ritorniamo a una Chiesa che apre le sue porte alla gente che sogna e pensa ad orizzonti più ampi e dà coraggio, specialmente a chi si sente piccolo o peccatore…

Ritorniamo a essere la Chiesa che Cristo ha voluto, per tornare a seminare nel mondo vangelo…

Questo ritorno rimetterà in circolo la speranza: “Spes non confundit”. Così scrive Papa Francesco nella Bolla di indizione del Giubileo: “Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio. Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità. Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza. La Parola di Dio ci aiuta a trovarne le ragioni.” (Spes non confundit, 1).

Concludendo, vorrei indicare i “luoghi” di apprendimento e di esercizio della speranza che Papa Benedetto XVI, di venerata memoria, indicava nella sua enciclica Spe Salvi; innanzitutto, la prima scuola di speranza è la preghiera, che Sant’Agostino definisce esercizio del desiderio.

A questa si aggiungono altri due luoghi di apprendimento della speranza: agire e soffrire; ogni agire serio e retto dell’uomo è speranza in atto. Come l’agire, anche la sofferenza fa parte dell’esistenza umana. Certamente bisogna fare tutto il possibile per diminuire la sofferenza, anche se eliminarla completamente dal mondo non sta nelle nostre possibilità; solo Dio può distruggere la sofferenza e l’ha fatto prendendola su di sé. Lui che è entrato nella storia facendosi uomo e soffrendo per noi. Noi sappiamo che questo Dio c’è e che perciò questo potere che toglie il peccato del mondo è presente nel mondo. Questa fede nell’esistenza di questo potere, sorregge la nostra speranza della guarigione del mondo; speranza che ci dà il coraggio di schierarci dalla parte del bene, anche nelle situazioni più difficili.

Infine, il terzo e ultimo luogo di apprendimento ed esercizio della speranza è il giudizio. Nel Credo lo professiamo: “…di nuovo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti.”, di fatto ci muoviamo nell’orizzonte del nessuno mi può giudicare. Il giudizio di Dio non fa più parte del nostro bagaglio catechetico; certo non agitato come induzione di paura di Dio, ma come rendiconto della vita e dello stile su cui l’abbiamo impostata. Infatti, scrive Papa Francesco: “Il giudizio di Dio, che è amore (cfr. 1 Gv 4,8.16), non potrà che basarsi sull’amore, in special modo su quanto lo avremo o meno praticato nei riguardi dei più bisognosi, nei quali Cristo, il Giudice stesso, è presente. (cfr. Mt 25, 31-46).”.

E allora esercitiamoci in questo anno santo per un solido apprendimento della speranza, ricordandoci che Gesù morto e risorto è il cuore della nostra fede, da cui scaturiscono carità e speranza.

  • Cristo, nostro unico Mediatore,

Tu ci sei necessario per venire in comunione con Dio Padre,

per diventare con te, che sei suo Figlio unico e Signore nostro,

suoi figli adottivi, per essere rigenerati nello Spirito Santo.

Tu ci sei necessario, o solo Maestro delle verità recondite e indispensabili della vita,

per conoscere il nostro essere e il nostro destino, la via per conseguirlo.

Tu ci sei necessario, o Redentore nostro, per scoprire la nostra miseria morale e per guarurla;

per avere il concetto del bene e del male e la speranza della santità;

per deplorare i nostri peccati e per averne il perdono.

Tu ci sei necessario, o Fratello primogenito del genere umano,

per ritrovare le ragioni vere della fraternità fra gli uomini, i fondamenti della giustizia,

i tesori della carità, il bene sommo della pace.

Tu ci sei necessario, o grande Paziente dei nostri dolori, per conoscere il senso della sofferenza

e per dare ad essa un valore di espiazione e di redenzione.

Tu ci sei necessario, o Vincitore della morte, per liberarci dalla disperazione e dalla negazione

e per avere certezza che non tradisce in eterno.

Tu ci sei necessario, o Cristo, o Signore, o Dio con noi,

per imparare l’amore vero e per camminare nella gioia e nella forza della tua carità

la nostra via faticosa, fino all’incontro finale con te amato,

con te atteso, con te benedetto nei secoli. Amen (San Paolo VI)

  • Parafrasando le parole del Secondo Libro delle Cronache, dico a me e a voi tutti: Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e si metta in cammino per tornare a Dio! (cfr. 2 Cr 36, 23).

 

Omelia per l’apertura diocesana del giubileo