«Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui» (Lc 4, 20), anche i nostri occhi questa sera sono fissi su di Lui, su Gesù, raccogliendo l’esortazione dell’autore della Lettera agli Ebrei: «anche noi, dunque, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» (Eb 12, 1-2).
In questa celebrazione particolare, che è la Messa Crismale, in cui si manifesta il volto della Chiesa locale, riunita in assemblea, intorno al Risorto, Sommo ed eterno Sacerdote, mi piace pensare che gli occhi di tanti sono fissi su noi Chiesa.
Non sono sempre occhi benevoli, che recano sguardi sereni, ma spesso si tratta di occhi che giudicano, che si mostrano severi; occhi indifferenti o che guardano senza comprendere.
Proprio perché sentiamo su di noi questi occhi, vorrei, questa sera, condividere con voi una riflessione sul nostro essere chiesa; il cammino sinodale ha provato a indirizzarci verso il dialogo con le persone, le istituzioni, le associazioni, insomma tutti quei soggetti che sono esterni alla Chiesa e con i quali ogni giorno abbiamo a che fare, un dialogo per capire: che Chiesa si percepisce dall’esterno? Come vedono noi credenti questi soggetti spesso un po’ distanti dalla Chiesa? Che cosa si percepisce dell’agire della Chiesa nel vissuto ordinario della gente?
Per questa riflessione vorrei prendere come sfondo di riferimento l’Ecclesiam suam del santo Papa Paolo VI; era in corso il Concilio Vaticano II e Paolo VI sentì il bisogno di offrire il suo contributo tracciando una prospettiva per il cammino della Chiesa conciliare.
Certo, sono trascorsi molti anni da quell’enciclica e tante situazioni sono cambiate, ma non è cambiata l’ispirazione ideale, che ritroviamo oggi nel cammino tracciato da Papa Francesco.
I passaggi indicati da Paolo VI, mi sembrano utili anche per la nostra riflessione: coscienza di sé, rinnovamento e dialogo.
La coscienza di sé
Riflettere sulla coscienza di sé, non è per noi Chiesa, oggi, fare sfoggio di teologia per addetti ai lavori, ma deve essere un esercizio popolare di discernimento. Un esercizio che, come fase propedeutica, richiede un lungo esercizio di ginocchia più che di cervello; perché
occorre tornare alla fonte: la Parola di Dio, letta, accolta, meditata, amata, pregata, custodita, contemplata e realizzata.
La Parola di Dio custodisce il sogno di Dio e dunque il volto vero della Chiesa di Cristo, perché anche oggi è necessario «ritrovare maggiore luce, nuova energia e migliore gaudio nel compiere la propria missione e per determinare i modi migliori per rendere più vicini, operanti e benèfici i suoi contatti con l’umanità a cui essa stessa, pur distinguendosi per caratteri propri inconfondibili, appartiene», come scrive Paolo VI (Ecclesiam suam, 19).
Spesso, Gesù nel Vangelo richiama alla vigilanza, come rettitudine del pensiero e dell’agire per far fronte alle tentazioni che addormentano il cuore umano, in un sonno di superficialità e indifferenza.
È la vigilanza che custodisce la fede, per cui riflettere sulla nostra coscienza di essere Chiesa è per noi un vero e proprio esercizio di fede, perché «essa ha bisogno di riflettere su sé stessa; ha bisogno di sentirsi vivere. Essa deve imparare a meglio conoscere sé stessa, se vuole vivere la propria vocazione e offrire al mondo il suo messaggio di fraternità e salvezza. Essa ha bisogno di sperimentare Cristo in sé stessa, secondo le parole di Paolo apostolo: “Cristo abiti per la fede nei vostri cuori” (Ef 3, 17)» (Ecclesiam suam, 27).
Potrebbe risuonare per noi il severo rimprovero del Cristo Risorto alla Chiesa di Sardi: «Conosco le tue opere; ti si crede vivo, e sei morto. Sii vigilante, rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire, perché non ho trovato perfette le tue opere davanti al mio Dio. Ricorda dunque come hai ricevuto e ascoltato la Parola, custodiscila e convèrtiti…» (Ap 3, 1-3).
Vigilanza, custodia e conversione sono tre passi che non è più possibile rimandare se vogliamo riscoprire la coscienza di essere Chiesa secondo il progetto di Dio.
La consapevolezza che il nostro essere Chiesa è nel mondo ma non del mondo, non può farci restare indifferenti verso le grandi trasformazioni che attraversano l’umanità e che, come le onde del mare, avvolgono e scuotono la Chiesa stessa. Percepiamo ogni giorno quanto le persone che incontriamo nelle nostre comunità sono influenzate dal clima culturale di questo tempo e questo spesso produce in tanti stordimento, smarrimento, disorientamento, che mette a dura prova la fede e genera indifferenza nei confronti della Chiesa e purtroppo nei confronti di Dio stesso.
Per una solida coscienza di Chiesa resta vitale il rapporto con Cristo, perciò, risulta urgente risvegliare Cristo nel cuore degli uomini e donne delle nostre comunità e riaccendere la consapevolezza del sacramento del battesimo.
Il rinnovamento
La coscienza di sé apre al rinnovamento, perché ci aiuta a cogliere la distanza tra il nostro essere Chiesa e il volto ideale di Chiesa, voluto da Gesù. Così scriveva Paolo VI nella Ecclesiam suam:
L’ansia di conoscere le vie del Signore è e dev’essere continua nella Chiesa, e la discussione, sempre tanto feconda e varia, che sulle questioni relative alla perfezione si va alimentando, di secolo in secolo, in seno alla Chiesa, Noi vorremmo che riprendesse l’interesse sovrano ch’essa merita avere, e non tanto per elaborare nuove teorie, quanto per generare nuove energie, rivolte appunto a quella santità che Cristo ci insegnò e che, con il suo esempio, la sua parola, la sua grazia, la sua scuola, sorretta, dalla tradizione ecclesiastica, fortificata dalla sua azione comunitaria, illustrata dalle singolari figure dei santi, rende a noi possibile conoscere, desiderare ed anche conseguire.” (Ecclesiam suam, 43).
Dunque, occorre investire in santità: ogni riforma strutturale chiede preventivamente una riforma della vita. Se a fare le riforme saranno uomini e donne vecchi, sclerotizzati nel cuore, nella mente e nella fede, cambieranno tutto per non cambiare niente; se, invece, le riforme partiranno dal cuore e dalla vita di uomini e donne santi, che avranno abbracciato la riforma radicale del Vangelo, che ha cambiato il volto della loro esistenza, allora ci saranno i cambiamenti auspicati dallo Spirito Santo.
Segni eloquenti di un cambiamento interiore ed esteriore saranno: lo spirito di povertà e lo spirito di carità, senza dimenticare che l’immagine ideale della Chiesa di Cristo è scolpito sul volto e nella vita di Maria, Madre della Chiesa, che resta maestra per i discepoli del Signore.
Il dialogo
Una Chiesa che ha consapevolezza di sé stessa e cerca di assomigliare sempre più alla Chiesa voluta da Cristo, si pone in dialogo con il mondo per essere sale della terra e luce del mondo; «Il Vangelo è luce, è novità, è energia, è rinascita, è salvezza. Perciò genera e distingue una forma di vita nuova, della quale il Nuovo Testamento ci dà continua e mirabile lezione: “Non vogliate conformarvi a questo mondo; trasformatevi e rinnovatevi invece nella mente per saper discernere qual è la volontà di Dio: quello che è buono, che piace a Lui ed è perfetto” (Rm 12,2)» (Ecclesiam suam, 61).
Tuttavia, la distinzione dal mondo non è separazione, «anzi non è indifferenza, non è timore, non è disprezzo» (Ecclesiam suam, 65), perché il dovere della Chiesa è evangelizzare e il suo mandato è missionario.
Pertanto «la Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio» (Ecclesiam suam, 67).
Questo perché Dio stesso ha scelto la strategia del dialogo per realizzare la salvezza:
Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona e manifestare il mistero della sua volontà (cfr. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura (cfr. Ef 2,18; 2 Pt 1,4). Con questa Rivelazione, infatti, Dio invisibile (cfr. Col 1,15; 1 Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (cfr. Es 33,11; Gv 15, 14-15) e si intrattiene con essi (cfr Bar 3, 38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé (Dei Verbum, 2).
Il dialogo della salvezza non si rivela come obbligo o imposizione, ma come formidabile domanda d’amore. Perciò, «il colloquio è un modo di esercitare la missione apostolica; è un arte di spirituale comunicazione» (Ecclesiam suam, 83), che ha precise caratteristiche: chiarezza, mitezza, fiducia e prudenza, ed è con queste premesse che nel dialogo si realizza l’unione della verità con la carità, dell’intelligenza con l’amore.
Carissimi fratelli e sorelle, questa è la strada che, in quest’ora della storia, lo Spirito Santo sta tracciando per la nostra Chiesa di Brindisi-Ostuni; questa è la via per attraversare il mare inquieto di questo tempo che ci è dato di vivere, senza nostalgie o paure o ritirate, ma con la certezza della fede nel cuore che ci ricorda l’appuntamento del Cristo Risorto in Galilea, per continuare l’avventura missionaria.
«Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 3,22), si alzi e si metta in cammino sulle nuove strade che lo stesso Spirito ci indica.
Spirito di Dio, fa’ della tua Chiesa un roveto che arde di amore per gli ultimi. Alimentane il fuoco col tuo olio, perché l’olio brucia anche. Da’ alla tua Chiesa tenerezza e coraggio. Lacrime e sorrisi. Rendila spiaggia dolcissima per chi è solo e triste e povero. Disperdi la cenere dei suoi peccati. Fa’ un rogo delle sue cupidigie. E quando, delusa dei suoi amanti, tornerà stanca e pentita a Te, coperta di fango e di polvere dopo tanto camminare, credile se ti chiede perdono. Non la rimproverare. Ma ungi teneramente le membra di questa sposa di Cristo con le fragranze del tuo profumo e con l’olio di letizia. E poi introducila, divenuta bellissima senza macchie e senza rughe, all’incontro con Lui perché possa guardarlo negli occhi senza arrossire, e possa dirgli finalmente: “Sposo mio”. Amen
(Don Tonino Bello)