Brindisi, 13 dicembre 2024
“Il popolo che camminava nelle tenebre
ha visto una grande luce;
su coloro che abitavano in terra tenebrosa
una luce rifulse.
Hai moltiplicato la gioia,
hai aumentato la letizia.
Gioiscono davanti a te
come si gioisce quando si miete
e come si esulta quando si divide la preda.
Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva,
la sbarra sulle sue spalle,
e il bastone del suo aguzzino,
come nel giorno di Madian.
Perché ogni calzatura di soldato che marciava rimbombando
e ogni mantello intriso di sangue
saranno bruciati, dati in pasto al fuoco.
Perché un bambino è nato per noi,
ci è stato dato un figlio.
Sulle sue spalle è il potere
e il suo nome sarà:
Consigliere mirabile, Dio potente,
Padre per sempre, Principe della pace.
Grande sarà il suo potere
e la pace non avrà fine
sul trono di Davide e sul suo regno,
che egli viene a consolidare e rafforzare
con il diritto e la giustizia, ora e per sempre” (Isaia 9,1-6)
La notte di Natale sentiremo risuonare nelle nostre liturgie queste parole del profeta Isaia e forse penseremo che anche la Chiesa voglia offrirci un po’ di poesia nel periodo più bello dell’anno, magari per aiutarci a dimenticare le tante nubi minacciose che si addensano sull’umanità.
In realtà le parole del profeta Isaia hanno la forza di un annuncio profetico che vuole aiutarci a riflettere cristianamente, in occasione del Natale, sulle vicende travagliate della storia dei nostri giorni.
Non sfugge a nessuno che c’è uno sfondo di tenebre e ansia che accompagna i nostri giorni; perciò, le parole del profeta Isaia suonano come anelito alla ricerca della luce, una luce che è gioia, liberazione, speranza, ricerca della pace.
Siamo noi, oggi, il popolo che cammina nelle tenebre, frutto della miopia di chi governa le nazioni e cerca affermazioni di potere attraverso l’esibizione della forza militare; frutto della sempre più accentuata paura della diversità, che costruisce muri, steccati e nuovi tabù; frutto di un triste analfabetismo affettivo che profana le relazioni più intime e belle del vivere umano; frutto di un graduale allontanamento dalla convivenza sociale, civile e politica, per scivolare in un individualismo che quotidianamente celebra il rito del personale benessere, che si intreccia con la costante ricerca del potere, della ricchezza e della scalata a posizioni di vertice per una maggiore visibilità sociale.
Le tenebre sono anche frutto di un diffuso malessere sociale ed esistenziale che serpeggia in tante categorie di persone: c’è l’angoscia di tanti operai che vedono aprirsi davanti a loro un futuro di incertezza; il disagio di tanti nostri giovani che manifestano la tempesta affettiva, relazionale, sociale che portano dentro e che è frutto del vento che noi adulti abbiamo seminato in loro; l’incertezza che le nostre terre vivono per un progresso innovativo che non decolla, perché prigioniero di vecchie e nuove baronìe che hanno attraversato indenni il cambiamento dei tempi e detengono ancora il loro potere, spesso in modo occulto.
Senza dimenticare le tenebre che si addensano sulla cura dell’ambiente, del paesaggio, del mare sempre più minacciato da interessi economici che tutelano il benessere di pochi e svendono il bene comune, una sanità pubblica sempre più ingessata da interessi privati e umiliata da miseri investimenti e tagli economici a vantaggio di settori ritenuti più strategici, come l’industria delle armi, e il dramma della denatalità, frutto di una chiusura egoistica alla vita.
Secondo le parole del profeta Isaia, in questo sfondo di tenebra e di rovina, si accende una luce: “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce…” .
Dio promette una nuova creazione, di nuovo dalla bocca di Dio esce la luce, la più urgente delle sue creature: “Dio disse: Sia la luce! E la luce fu” (Gn 1, 3).
La luce è vita, ossigeno, respiro di ogni cosa, speranza. Oggi essa esce per noi dal cuore di quel Dio che non si è stancato di nascere e vuole ricreare il mondo, rialzarlo dalle macerie, ridargli un volto, iniziando dalle zone geografiche, esistenziali e naturali che mostrano ferite sanguinanti, frutto del male.
Il volto che Dio vuole dare al mondo riconciliato, risanato, curato dalle sue tante ferite è quello di un bambino: “…un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio” (v. 5).
Ancora una volta, il Padre celeste ci offre il segno del Bambino di Betlemme come arcobaleno di luce, di pace e di speranza.
Al contrario di chi vuole vincere e dominare con la forza e le subdole dinamiche del potere e delle sue perversioni, Dio vince con un Bambino che diventerà Crocifisso; aveva colto nel segno il pastore e teologo luterano Dietrich Bonhoeffer che così scriveva: “Ci sono solo due luoghi in cui i forti e i grandi di questo mondo perdono il loro coraggio, in cui sono spaventati nel più profondo della loro anima, da cui rifuggono pieni di paura: sono la mangiatoia e la croce di Cristo”[1].
Non ci sfugge il grande contrasto che si crea tra le immagini di guerra, di distruzione, di morte, di esibizione del potere delle armi, della malvagità, dell’arroganza, del male che sembra trionfare, nonostante tutto, e la tenerezza indifesa, l’intimità familiare, la disarmante fragilità di un Bambino; un Bambino che: “ci è stato dato…”. Questo Bambino è un dono di Dio! Mentre le guerre e tutte le situazioni di male e di sofferenza sono opera dell’uomo, il Bambino, il Figlio, è dono di Dio che accende una luce di speranza.
È ancora Bonhoeffer a illuminarci: “Si parla della nascita di un bambino, non del gesto rivoluzionario di un uomo d’azione, non dell’audace scoperta di un saggio, non della pia opera di un santo. Trascende ogni comprensione: la nascita di un bambino provocherà la grande conversione di ogni cosa, porterà a tutta l’umanità salvezza e liberazione. Come per umiliare i più grandiosi sforzi umani e le più mirabolanti imprese umane, un bimbo viene posto al centro della storia umana. Un bimbo nato da donna, un figlio dato da Dio. Questo è il mistero della liberazione del mondo: tutto il passato e tutto il futuro vi sono ricompresi.”[2]
Un bambino tiene sulla sua mano la nostra vita! Se riuscissimo a capire questo e riprendessimo la strada dell’umiltà e, come i pastori di Betlemme, i sapienti venuti dall’oriente, ci fermassimo in adorazione davanti al Bambino che giace nella mangiatoia e magari lo prendessimo tra le nostre braccia, come il vecchio Simeone, allora mossi anche noi dallo Spirito, cambieremmo tante prospettive sbagliate della nostra vita, che sono figlie della nostra autosufficienza, supponenza e disincanto.
Nei suoi versi profetici, Isaia da dei nomi al Bambino: “Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace”.
- Consigliere mirabile: è la sapienza incarnata di Dio, che è donata agli uomini per orientarsi nella vita. La sapienza di Dio si è fatta uomo, ha preso corpo nel Bambino di Betlemme, Parola fatta carne. Nella Parola di Dio, noi troviamo l’eterno e sempre nuovo consiglio di Dio all’umanità perché non smarrisca la via della verità, della giustizia, della fede, della speranza, della carità.
Ritorniamo alla sapienza della Parola di Dio!
- Dio potente: una potenza che lascia perplessi. Dio manifesta la sua potenza nel Bambino di Betlemme e questo confonde le certezze umane. Dio manifesta la potenza inerme della povertà, della semplicità, della compassione, della tenerezza: la potenza dell’amore. Questa è la potenza di Dio, che il mondo non capisce: “Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto” (Gv 1,11).
Ritorniamo al potere dell’amore che si fa dono!
- Padre per sempre: è strano un nome del genere dato a un Bambino, ma quel Bambino è l’immagine fedele del Padre: “Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre in me? […] Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me” (Gv 14, 9-11). Il Figlio di Dio porta a noi l’amore del Padre, perciò chi ha l’audacia di cercare trova nella mangiatoia il Padre eterno, che era prima del tempo e ora è diventato Dio con noi.
Ritorniamo al Padre, per ritrovare la paternità e maternità come stile delle relazioni umane!
- Principe della pace: quando Dio nel suo amore viene verso gli uomini e si unisce a loro, allora è fatta pace tra Dio e l’uomo, e tra uomo e uomo. Se vogliamo guarire dall’odio, dai litigi, dalla violenza, dalla malvagità, andiamo alla mangiatoia e inginocchiamoci davanti al Dio-Bambino: dove c’è lui, regna la pace.
Ritroviamo la pace, ritornando alla via della verità e della vita!
Questa è la scommessa del Natale: nel Bambino è il cambiamento di rotta dell’umanità; nonostante la storia dei nostri giorni rischia di farci archiviare tra le utopie le parole del profeta Isaia, tuttavia, davanti alla mangiatoia facciamo professione di speranza: “Ogni bimbo che nasce porta al mondo il messaggio che Dio non è stanco dell’uomo” (Rabindranath Tagore).
Il segno del Bambino è il segno della forza dell’amore di Dio; perciò, sarà possibile vincere la violenza, se la tenerezza abita il nostro cuore, se facciamo crescere dentro di noi l’innocenza del Bambino, se riscopriamo l’abbandono, la fiducia, il bisogno di abbraccio.
Questo figlio che ci è stato dato è la risposta di Dio a chiunque desidera rigenerarsi alla vita ogni giorno, per bandire la logica della violenza, della malvagità, della guerra, della distruzione e della morte.
Intraprendendo il pellegrinaggio di speranza che il giubileo ci chiede, decidiamo di disarmare la nostra vita da tanti atteggiamenti ostili; decidiamo di bonificare le nostre relazioni, per decentrarle dall’autoreferenzialità e orientarle a una sana costruzione di un noi affettivo, sociale, familiare, politico, ecclesiale, indispensabile per tessere una trama di relazioni virtuose, nutrite dalla sapienza di Dio e dalla sana e genuina umanità.
In questo Natale, fermiamoci davanti alla mangiatoia e lasciamoci raggiungere da un raggio della luce gentile del Verbo fatto carne, per ricordarci che “non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi.”[3]
Uomo,
crisalide divina
nel bozzolo
del tuo mistero:
tu
sempre aspetti
di nascere ancora[4].
AUGURI DI UN SANTO NATALE!
+ Giovanni Intini
Arcivescovo di Brindisi-Ostuni
[1] D. Bonhoeffer, Memoria e fedeltà, Edizioni Qiqajon.
[2] Ivi.
[3] Antoine de Saint-Exupèry, Il piccolo principe, Bompiani, 1998, 95
[4] Madre Anna Maria Canopi, Piedini nudi, Interlinea Edizioni, Novara 2001, 49.