1. La chiesa
“La tradizione dice che l’architetto ed esecutore insieme della nuova chiesa fu il muratore Francesco Trinchera, uno di quei maestri muratori che in Ostuni nascono architetti. L’opera ruscì bella ed originale. È rotonda, tutta innalzata sopra otto colonne di ordine jonico composito, con svelta cupola, illuminata da quattro grandi finestroni, adorna di tre bellissimi altari. È svelta, gaia, arieggiata: nella sua piccolezza è la più bella Chiesa di Ostuni” (in Memorie Storico-Diplomatiche della Chiesa Vescovile di Ostuni, Valle di Pompei 1891, pp. 187-188).
Sono queste le parole scelte da Ludovico Pepe (1853-1901) per tratteggiare brevemente i caratteri della chiesa di San Francesco di Paola, annessa al convento dei Francescani Minimi, popolarmente appellati Paolotti o Paolini. Giudizio entusiastico parimenti espresso da mons. Ferdinando Semerano (1872- 1937), teologo del Capitolo Cattedrale, in un articolo pubblicato nel numero di settembre del 1935 dal periodico ostunese Lo Scudo, nel quale la chiesa è definita la più bella di Ostuni.
Tali autorevoli e illustri estimatori non hanno trovato seguito in tempi più vicini a noi, al punto che la chiesa, a volte soltanto citata nelle numerose guide turistiche della città bianca, risulta del tutto sconosciuta alla gran parte degli ostunesi.
Un elemento non trascurabile di questa ignoranza è da ascriversi alla localizzazione dell’edificio che, solo fino a pochi anni fa, poteva ritenersi periferica. È situata, infatti, nella zona degli orti extraurbani, nelle vicinanze dell’opera Fuentes, ex Manifattura Tabacchi, e della casa di riposo per anziani, in prossimità di un importante snodo stradale di accesso alla città dal versante nord-orientale. Un altro motivo è legato alla difficoltà di visitare l’edificio, aperto solo in alcuni mesi dell’anno.
2. L’ordine dei Minimi in Ostuni
L’insediamento in Ostuni dell’ordine dei Minimi si può far risalire al 1620 e si deve all’iniziativa del vescovo Vincenzo Meligne (1606-1639) che firmò il decreto di fondazione del convento il 22 marzo, dopo aver ascoltato il parere favorevole degli altri ordini monastici presenti nella città e dell’amministrazione comunale, guidata dal sindaco Giovanni Vincenzo Benedetti. Ai paolotti fu assegnato il caseggiato che era stato lasciato, da circa trenta anni, dai padri domenicani, trasferitisi in un’altra sede, ai quali fu corrisposto, fino al 1723, un censo di 22 carlini.
Il complesso edilizio era composto da un dormitorio con sette celle affiancate alla chiesa, sviluppate su un solo piano, con una cisterna sovrastante; un altro serbatoio d’acqua si apriva nel chiostro “cominciato con un giardinetto di melaranci ed altri arbori di frutti, con una cucina, refettorio, magazeno, dispensa, cantina, lignaro. Detto convento ha solito sostenere otto frati”.
Le funzioni religiose si svolgevano nella chiesa intitolata a Santa Maria Maddalena, documentata a partire dal 1519 (Archivio Capitolare, Curiale, Diocesano e Vescovile ACCDV, Platea dei beni della Mensa Vescovile redatta sotto il Vescovo Antonio de’ Rogeriis) adiacente all’edificio monastico e localizzata in un’area leggermente più bassa rispetto al livello occupato dalla nuova chiesa.
I domenicani dotarono il luogo di culto, sicuramente di origine medioevale, di un coro e di una sagrestia. Dalla descrizione riportata nella Platea dei Minimi (ACCDV, 1723) “la chiesa è mediocre con due gubbole” e dall’immagine delineata nel 1703 da Giovan Battista Pacichelli (1634-95) nella visione prospettica di Ostuni, si può supporre che la struttura fosse del tipo a cupole in asse.
La devozione per il santo calabrese e il favore accordato dalla cittadinanza ai frati francescani si manifestarono ben presto con consistenti lasciti in denaro e in beni immobili che andarono a formare quel discreto patrimonio fondiario descritto nella Platea, comprensivo di terreni, di orti, di una masseria e di una casa palaziata. Si trattava di risorse comunque insufficienti a sopperire ai bisogni materiali dei frati, che pur parchi nelle consuetudini di vita, così come era dettato dalla rigida regola francescana, erano giornalmente impegnati nella questua per procurarsi generi di prima necessità.
Anche la chiesa era oggetto delle attenzioni dei devoti. Nel 1723 il duca di Ostuni Bartolomeo Zevallos donava al vicario del convento “una lamina d’argento…scolpita con l’immagine del Glorioso San Francesco di Paola al dirimpetto del quale stanno una donna con un bambino in braccio e un cavaliere inginocchiato”. La testimonianza preziosa era il segno tangibile della gratitudine del duca nei confronti del santo, per intercessione del quale era venuto alla luce il 14 ottobre del 1722 il sospirato erede dell’illustra casata. Ancora nel 1724 Oronzio Fussio attestava davanti al notaio Antonio Paladino, di voler donare alla chiesa dopo la morte una statua che teneva in casa, rappresentante il santo calabrese, acquistata a Napoli.
I dati in nostro possesso non consentono di seguire con continuità le vicende della sede monastica e della chiesa. I danni provocati dal terremoto del 1743 misero a dura prova le strutture murarie vecchie di duecento anni al punto che fu necessario ricostruirle. In un atto notarile pubblicato dal prof. Luigi Greco nel novembre del 1996 sul periodico ostunese Lo Scudo, si attribuisce a padre Francesco Sabbia la volontà della ricostruzione.
Il convento, abbandonato nel 1809 in seguito alle soppressioni ecclesiastiche volute nel decennio francese, fu acquistato nel 1867 dall’Amministrazione Comunale per 16.200 lire pagabili in diciotto anni e riconvertito dapprima in ospedale e successivamente in ricovero di mendicità.
3. La nuova chiesa di San Francesco di Paola
Una inveterata tradizione, accolta da Ludovico Pepe, come si è detto precedentemente, assegna la progettazione e la direzione dei lavori della nuova chiesa, intitolata a San Francesco di Paola, all’architetto Francesco Paolo Trinchera (1753-1789) e l’esecuzione materiale al mastro murario Stefano Trinchera. Appartenente a un’importante famiglia di capimastri, Francesco Paolo progredì nel campo edilizio compiendo studi accademici probabilmente nella capitale napoletana, diplomandosi Regio Ingegnere. Morì, appena trentaseienne, cadendo da una impalcatura mentre era impegnato nella costruzione della chiesa matrice di Ceglie Messapica.
Va ricordato, per inciso, che l’omonimo architetto al quale si deve il progetto del cappellone del Santissimo Sacramento nella Cattedrale di Ostuni, rifatto nel 1838, è il nipote di questo sfortunato professionista.
Dopo la soppressione del convento, la chiesa fu temporaneamente chiusa e riconsegnata ai sacri uffici nel 1815 sotto la guida dell’ex paolotto don Angelo Vito Marseglia.
La chiesa innesta a un vano centrale ottagonale quattro ampi bracci laterali comprendenti il presbiterio, due cappelle laterali e la cantoria posta sull’ingresso, collegati da corridoi coperti da mezze volte a botte, delimitati da colonne binate di ordine corinzio. Una cupola ottagonale, con vele di diversa ampiezza, completa la zona centrale trovando immediati precedenti in modelli napoletani della fine del XVIII secolo nella chiesa di Santa Maria dell’Aiuto a Napoli (1780-1790), ma anche pugliesi: a Trani nella chiesa di Santa Teresa del 1754 e a Molfetta in quella di San Pietro del 1751.
Coordinare entità spaziali eterogenee, raccordare volte di varia impostazione, fondere sviluppi longitudinali e centrali in un’armonica unità interna, sono capacità ascrivibili molto probabilmente a una personalità della capitale del regno, del cui progetto Francesco Paolo Trinchera fu il fedele interprete.
Sebbene sul portale della facciata sia incisa la data 1792, una iscrizione interna colloca il termine dei lavori al 1797. Entrambe le date escludono la partecipazione dell’architetto alle fasi conclusive della fabbrica, essendo morto nel 1789; questo spiegherebbe la mancata conclusione del prospetto, privo del fastigio.
Al 1798 si può assegnare l’erezione dell’altare dedicato a San Francesco di Paola, posto nel braccio sinistro, voluto da Francesco e Carmela Cisaria. L’imponente struttura verticale, in stile rococò, rifinita in bianco con membrature sottolineate in oro, presenta una cimasa con epigrafe dedicatoria, affiancata da plastici putti adagiati su volute di raccordo con l’ordine sottostante. La statua lignea di San Francesco, un manichino vestito della fine del XVIII secolo, è alloggiata nella nicchia centrale.
Un altare simile nello stile e nella configurazione degli elementi plastici, allineati lungo un rigido piano orizzontale fronteggia quello di San Francesco ed è dedicato alla Madonna Addolorata. Il frontespizio appare ugualmente arricchito da putti che completano la cimasa decorata da una tela raffigurante l’Arcangelo Michele che uccide il diavolo. Il simulacro dell’Addolorata, un manichino vestito con parti nude in legno, può assegnarsi tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo.
È difficile immaginare l’assetto decorativo della zona presbiteriale al momento della costruzione della chiesa. Mons. Arcangelo Lotesoriere (1825 – 97), rettore nella seconda metà del XIX secolo, rivela una certa incertezza, nella descrizione fornita al vescovo Luigi Maria Aguilar (1875-92) per la visita pastorale compiuta nel 1876, riguardo all’intitolazione alla Vergine Maria dell’altare maggiore.
Agli inizi del 1900 risale l’altare attuale, voluto dalla messicana suor Maria Fuentes (1838-1913), dedicato al Cuore di Gesù. Alle spalle dell’altare in marmo grigio, sollevato in due gradini, svetta un’imponente tribuna composta da quattro colonne poste a sostegno della cupola, contenente la statua in cartapesta della Immacolata cosiddetta della Medaglia.
La chiesa fu assegnata nel 1870 alla congregazione dei Fratelli di Maria Santissima della Purificazione in seguito all’abbattimento della chiesa di Ognissanti, sede iniziale del pio sodalizio. Nel 1893, quando la congregazione fu destinata alla chiesa di Santa Maria degli Angeli o dei Cappuccini, San Francesco divenne oratorio del vicino Ospedale Civile, gestito dalla Congregazione della Carità fino al 1936.
Nuovi interventi si registrano a metà del XX secolo nella decorazione pittorica dei medaglioni della cupola, realizzati da Michele Lupo. Le scene rappresentano: la Maddalena, probabilmente in relazione all’antica intitolazione della chiesa, San Francesco mentre consegna i doni per opere di bene, mentre attraversa lo stretto di Messina e mentre salva il nipote.
Nel 1972 in ossequio alle nuove disposizioni liturgiche, l’altare in marmo viene privato della mensa e un nuovo altare, realizzato da Francesco Bagnulo (1911 – 91), si colloca nel presbiterio, con l’eliminazione della balaustra divisoria dall’aula. L’opera, in cemento, di forma ellittica, ricorda nello sviluppo su due registri di scene narrative, i rilievi della Colonna Traiana. Le immagini in sequenza continua narrano episodi della vita di san Francesco.
Varie generazioni di devoti hanno mantenuto vivo e continuo un culto profondamente radicato nella spiritualità locale. San Francesco di Paola era invocato da madri e familiari dei soldati impegnati nel secondo conflitto mondiale e le pagine dello Scudo degli anni Trenta e Quaranta spesso riferiscono di episodi miracolosi attribuibili al divino intervento del Santo.
Fino agli anni 60 del 1900 la festività del fondatore dei Minimi era onorata con una processione che percorreva le strade circostanti gli orti extraurbani e l’edificio scolastico Francesco Vitale.
Oggi la chiesa si apre esclusivamente il venerdì pomeriggio, nei mesi da gennaio ad aprile, per raccogliere un fervente gruppo di devoti osservanti dei tredici venerdì e del triduo che precede la festività del 2 aprile.