Note sul patrimonio d’interesse storico -artistico Il I aprile del 1671 il canonico Francesco Monetta promosse, assumendosene ogni onere, la fondazione e la dotazione di una casa dei carmelitani scalzi in Brindisi. Come si precisa nell’atto redatto da notar Staibono di Lecce, “calcolandosi detta fondazione sino a ducati centomila tra la spesa della sontuosissima fabbrica di esso convento e chiesa presi dalle fondamenta, compera di luogo e fondo di annue rendite e stabili”. Lo stesso Monetta, col suo ultimo testamento dell’11 aprile 1689, disporrà la trasmissione di tutti i suoi beni all’istituzione da lui voluta. Avevano preso avvio, probabilmente sotto la direzione di Giuseppe Zimbalo, i lavori che dovevano infine rendere alla città e all’ordine una struttura che rivela chiari riferimenti all’architettura barocca di tipo leccese sia nel convento che nella chiesa. La facciata, tripartita verticalmente da paraste in carparo, è impostata su tre ordini evidenziati da cornici marcapiano e raccordati da volute che si risolvono nel secondo in snelli pinnacoli. La pianta presenta una navata centrale con transetto; le laterali sono ridotte, infatti, a semplici cappelle. Qui sono i segni delle devozioni proprie di questa chiesa ove ha operato una confraternita sotto il titolo dei Santi Medici. Un riferimento a tale culto è offerto dalla seconda cappella di destra ove sono le cinque statue in cartapesta dei santi e una significativa raccolta di ex voto. La confraternita era attiva almeno dal 1826 e aveva sede nella chiesa delle Scuole Pie; in quella data la locale sott’intendenza chiese che le statue dei Santi Medici, nella chiesa già degli scolopi, fossero traslate in Santa Teresa poiché “sotto il pretesto di mantenersi il culto divino in gloria degli anzidetti santi si fanno delle questue che si convertono ad altro uso. La congrega, trasferitasi in Santa Teresa il I gennaio 1888, è stata attiva almeno sino al 1971. Nell’adiacente cappella di Santa Teresa si conservano tele del pittore leccese Serafino Elmo (1696-1777); autografa è la Gloria di Santa Teresa. Secondo Milena Loiacono, che la data al 1735-40, è “di impostazione giordanesca, ma con puntuali riferimenti all’arte del Solimena soprattutto nella figura della suora teresiana che, inginocchiata, assiste alla scena, per la quale il modello di riferimento può essere individuato nella tela Vergine al cospetto della Trinità e Santi nella chiesa di Santa Maria di Piedigrotta a Napoli”. Allo stesso maestro sono attribuibili la Madonna del Carmine col Bambino che consegna lo scapolare ai santi Simone Stock e Teresa d’Avila le altre tele che sono nella cappella della Madonna del Carmelo. Si deve questa, come ricorda una memoria epigrafica, alla munificenza di Luigi Ferreyra, castellano delle fortezze sull’isola di Sant’Andrea dal 1690 al 1710. Fu egli fondatore del cosiddetto Monte dei Giannizzeri, istituzione tesa ad alleviare con varie provvidenze quanti, fra i soldati spagnoli del forte o fra i loro discendenti si fossero trovati in difficoltà economiche. L’istituzione ha avuto lunga durata: le rendite sono state distribuite sino al 1940. Il culto per la Madonna del Carmine è attestato anche dalla macenula, conservata ora nella prima cappella di destra, sulla cui veste di taffetas marrone sono riportati ricami del primo ‘800. Nella prima cappella di sinistra è riferimento alla confraternita dei marinai e pescatori di Brindisi; aveva essa in origine sede presso la chiesa di Sant’Eufemia indicata anche come Sant’Andrea piccinno. Di pertinenza dell’abbazia concistoriale di Sant’Andrea dell’Isola, fu richiesta dai carmelitani scalzi all’abate commendatario cardinal Alessandro Caprara perché fosse incorporata nella loro clausura, risultando da molti anni abbandonata. La richiesta fu soddisfatta; in cambio, i teresiani si obbligarono a dedicare una cappella nella loro chiesa a sant’Andrea, facendo di questa il nuovo punto di riferimento della confraternita. Nel 1789 il patrizio napoletano Sergio Sersale, abate commendatario di Sant’Andrea dell’Isola, commise lavori che portarono a una sostanziale ridefinizione di tutta l’area cultuale. Elemento di raccordo, si direbbe è, in questa vicenda, la tela che raffigura Sant’Andrea, di bottega locale, vicina a Jacopo de Vanis, eseguita nel tardo cinquecento per essere collocata in Sant’Eufemia e quindi adattata, con aggiunte, per essere inserita nell’altare voluto in Santa Teresa. Due memorie epigrafiche in sito ricordano queste vicende che saldano la presenza carmelitana a remote precedenze e la radicano nel cuore della popolazione marinara di Brindisi. Il pittore barese Umberto Colonna (1913-1993) realizzò le tele aventi a soggetto la Madonna del Rosario, per la cappella con lo stesso titolo, il Cristo in trono, per il presbiterio, La gloria dei santi medici Cosma e Damiano e la Gloria di Santa Teresa d’Avila sul soffitto cassettonnato della navata l’una, del transetto l’altra.. L’artista trentino Lucillo Simone Grassi (1895 – 1972) realizzò, il 1942, i dipinti Il martirio dei santi medici Cosma e Damiano e La gloria dei santi medici Cosma e Damiano collocati sulle testate del transetto. Occorre infine pur far menzione di altre due tele. L’Educazione di Maria Vergine, attribuibile a Francesco Antonio Altobello (1632 – 95), con collocazione sulla controfacciata e l’Angelo con il simbolo della Passione: la scala della Croce da Lucio Galante attribuito ad ambito di Simon Vouet (1590-1649) che una serie di dodici angeli coi simboli della passione dipinse per il cardinal Ascanio Filomarino di Napoli. Il dipinto brindisino, restaurato il 1991 da Francesca Marzano, scrive Lucio Galante, “rivela un autore che è così vicino al modello, anzi che ha una tale conoscenza del suo stile da confondersi col medesimo. In altre parole sarebbe impensabile un tale dipinto al di fuori dello stretto entourage del Vouet”. Il convento, dedicato ai Santi Gioacchino e Andrea, caratterizzato dall’ampio chiostro, ospita attualmente l’Archivio di Stato; i carmelitani scalzi furono costretti ad abbandonarlo una prima volta in conseguenza del regio decreto del 5 novembre 1807. Vi poterono rientrare per le disposizioni del 20 aprile 1820 e infine lasciarlo definitivamente il 29 novembre 1863 in conseguenza del provvedimento di soppressione del 17 febbraio 1861. Fra il 1820 e il 1821 qui si riuniva la brindisina setta carbonara della Concordia; l’Italia unita utilizzò il convento quale caserma, intitolata a Gabriele Manthoné, protagonista nelle vicende napoletane del 1799, ricordato da un’epigrafe ammurata nell’androne. Numerose le tele provenienti da Santa Teresa conservate nella quadreria del museo diocesano “Giovanni Tarantini” in Episcopio; fra queste è la Madonna della Rosa, già nel Coro, riferibile agli ultimi del XVII o i primi del XVIII secolo, Di grande interesse per la storia del costume popolare è il Presepe, olio su tela della fine del XVIII secolo, ora nel salone San Michele della basilica Cattedrale, ispirato alla tradizione napoletana con inserto dell’avvento del Cristo nella quotidiana attività e nella semplicità della gente del popolo intenta alle faccende giornaliere. Al termine di complessi lavori di restauro, condotti su progetto degli architetti Antonio Bruno, Nicola Forleo, Giacinto Liguigli e dell’ing. Cesare Argentieri, con la consulenza dell’arch. Giada Piliego, realizzati dalle imprese Atena Restauri di Bari, Valore Restauri di Nardò e De Bellis di Nardò, lo scorso 17 dicembre il complesso di Santa Teresa degli Scalzi in Brindisi è stato restituito alla pubblica fruizione. Nel restaurato compendio il museo diocesano “Giovanni Tarantini” ha nuovi e attrezzati spazi espositivi. |
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