IL DONO DELLA SPERANZA
Le festività natalizie quest’anno assumono contorni inediti: gli addobbi per la strada sembrano meno sfavillanti, la voglia di festeggiare è più contenuta e molti fratelli portano nel cuore la mestizia per le ristrettezze economiche o per aver perso i loro cari a causa della pandemia.
Quest’anno, forse, l’augurio più bello che possiamo scambiarci è quello della speranza. Ci sono due proverbi noti a tutti, «la speranza è l’ultima a morire» e «chi di speranza vive, disperato muore», che delineano alcune caratteristiche di questa virtù, ma in modo parziale. Tutto dipende da ciò su cui fondiamo la speranza. Sperare vuol dire essere vivi, affrontare con coraggio le difficoltà, guardare con realismo il presente per migliorare il futuro.
San Paolo, nella lettera a Tito, scrive (2, 11-13):
È apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci
insegna a […] vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con
pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della
gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo.
L’Apostolo non descrive una speranza qualsiasi: chi cerca il potere, la fama e la ricchezza non trova gioia duratura, anzi spesso le persone che mirano a primeggiare sono le prime a essere tristi e isolate. Paolo parla di una «beata speranza», che si manifesta con la venuta di Dio in mezzo a noi. Nel mistero del Natale ci accostiamo a un quadro povero, umile e intimo, in cui mancano i fasti transitori dei regali, mentre si scorgono gli umili segni che danno la felicità: i pastori con le loro greggi, i Magi venuti dall’Oriente, ma soprattutto il silenzioso abbraccio di Maria e Giuseppe che vegliano sul Bambino. Nel silenzio di quella notte, a Betlemme, Gesù riceve la speranza che viene dall’amore familiare, ma a sua volta è proprio Lui, il Dio fatto uomo, a infondere la speranza che le povertà umane saranno trasformate dall’amore di Dio, che non passa mai.
La speranza è nutrita dall’umiltà e dalla gratuità. I pastori non portano nulla di materiale con sé, perché è Gesù il vero dono. In questi mesi davanti a noi si manifestano sempre più i drammi della povertà, ma è cresciuta anche la solidarietà. In molti casi sono stati proprio dei poveri a voler condividere qualcosa, anche se poco, con altri poveri; non è importante quanto si dà, ma la gioia e la carità che si cela nel dono. In questo Natale proviamo a donare la «beata speranza»: chi è solo venga accolto; chi ha sbagliato venga perdonato; chi si sente perso venga aiutato a perseguire nuove mete. L’attesa di un vaccino contro il virus SARS-CoV-2 non sia la nostra unica speranza. In questi mesi alimentiamo il senso di gratuità, l’unico antidoto contro l’individualismo e la sopraffazione.
Il nostro Natale sarà materialmente più sobrio, ma potremo dirci comunque beati e fiduciosi nel futuro. Ci visiti il Signore con la sua grazia.
+ Domenico Caliandro
Arcivescovo di Brindisi-Ostuni