Matteo Farina
Matteo Farina nasce ad Avellino, paese natale del nonno paterno, il 19 Settembre 1990. Tuttavia vivrà sempre a Brindisi, nel rione Casale, circondato dall’amore dei genitori, Paola Sabbatini e Miky Farina e della sorella maggiore Erika e accarezzato dall’affetto dei suoi parenti ed amici. Figlio di una casalinga e di un impiegato di banca, cresce in una famiglia normalissima che sente e vive profondamente la fede cristiana e che riesce a trasmetterla al piccolo Matteo, introducendolo da subito nella vita comunitaria della Parrocchia di appartenenza ”Ave Maris Stella”, a cui Matteo rimarrà sempre legato.
I primi anni di vita scorrono tranquilli: Matteo è un bambino allegro, solare, come lo sono tanti bambini amati e coccolati dalla propria famiglia, ma al contempo è mite, affabile e dolce, caratteristiche che lo distingueranno anche negli anni della sua adolescenza e della sua breve giovinezza.
Fin dalla più tenera età mostra una vivace intelligenza, desiderosa di conoscere e imparare, che lo porta a socializzare e ad apprendere molto rapidamente durante gli anni trascorsi nella scuola materna “M. Boschetti Alberti” e in seguito nella scuola elementare “G. Calò”. Alla base di questo entusiasmo per ciò che è nuovo, vi è un forte amore, una passione sviscerata per la vita, preludio, in un bambino così piccolo, di un’esistenza che anche in seguito sarà vissuta appieno e con gioia, gustata e assaporata lentamente fin in fondo, anche quando essa sarà amara: in futuro, provato dalla malattia, dirà che non ha mai perso la gioia di vivere: “Sì, la gioia di vivere. Vivere la vita, perché la vita è bella”.
Questa consapevolezza fa sì che egli viva tutto con intensità e profondità e lo porta ad essere molto attivo e volitivo anche negli impegni extrascolastici: svariate sono le attività sportive che pratica e sin da piccolo sviluppa una forte passione per la musica, che lo spingerà ad imparare a suonare diversi strumenti e che, adolescente, gli permetterà di fondare con i suoi amici un gruppo musicale, i “No Name”.
Ama tantissimo anche l’informatica perciò, dopo le medie, frequentate alla “J. F. Kennedy”, si iscrive presso l’ITIS “G. Giorgi”di Brindisi. Tuttavia si appassionerà presto alla chimica, materia che, attraverso lo studio dell’atomo, particella piccola e perfetta, gli fa percepire ancor di più l’infinita grandezza di Dio. Pertanto, dopo il biennio, si iscrive presso l’ ITIS “E. Majorana” nella sezione di chimica industriale. Il suo sogno è quello di intraprendere, dopo le superiori, gli studi di Ingegneria chimico – ambientale, sì da potersi mettere al servizio di Dio anche attraverso la tutela dell’ambiente, tanto è grande il suo amore per il creato. Vince persino il primo premio del concorso “Energica-mente”, prova di giornalismo dedicata agli studenti degli istituti superiori di Brindisi, terza edizione del progetto “Edipower per la scuola”. Purtroppo Matteo non riuscirà ad arrivare agli esami di stato.
Le sue capacità, la sua volitività, fanno di lui un ragazzo brillante, stimato dai professori e amato anche dai compagni, attratti dalla sua maturità, mitezza, dolcezza e semplicità, ma anche dalla sua risolutezza nel combattere le ingiustizie e difendere i più deboli. Queste doti naturali, in Matteo, non brillano di luce propria ma sono illuminate dal dono soprannaturale della Fede, l’unico che dà senso pieno alla vita.
La Fede è in lui un dono, anzi, il Dono che più di tutto vive con il suo atteggiamento scevro da ogni forma di superficialità e leggerezza. Già a nove anni mostra una conoscenza del Vangelo insolita per quell’età. Mai si staccherà dal desiderio di conoscere e approfondire la Parola per poter meglio aderire ad essa. In ciò è sicuramente aiutato da quel rapporto intimo che vive con Gesù che incontra nella lettura quotidiana del Vangelo e nella contemplazione dei suoi misteri nella quotidiana recita del Rosario.
Matteo si accosta molto frequentemente al Sacramento della Riconciliazione, ricorrendo al suo confessore abituale; partecipa all’Eucaristia e all’ Adorazione Eucaristica con grande raccoglimento e consapevolezza.
Matteo, nel suo cammino spirituale, si è ispirato a san Pio da Pietrelcina, a san Francesco d’Assisi, a santa Gemma Galgani e Teresa di Gesù Bambino di cui ha letto gli scritti e al beato Piergiorgio Frassati.
Nel settembre 2003 si presentano i primi sintomi di quel male che, per quasi sei anni, costituirà la sua salita al Calvario: nell’ottobre 2003 affronta una pericolosa biopsia al cervello; nel gennaio 2005 subisce un primo intervento per asportare il tumore cerebrale, seguito da quaranta giorni di dura chemio e radio. Nel dicembre 2007 affronta un nuovo intervento per una prima recidiva, e nell’anno successivo compare una seconda recidiva tanto che tra dicembre 2008 e gennaio 2009 verrà sottoposto ad altre tre operazioni chirurgiche che però non gli salveranno la vita. Matteo sale alla casa del Padre il 24 aprile 2009.
Il modo in cui Matteo reagisce alla malattia mostra l’eccezionalità di questo ragazzo. Conserva la gioia di vivere, che si traduce nella tenacia e nella forza di volontà a voler vivere la quotidianità tenendo fede, anche durante i periodi duri della chemio, agli impegni della sua vita ordinaria, recuperando brillantemente nello studio e continuando ad occuparsi delle sua passione, la musica. La sua gioia di vivere gli permette, nonostante la malattia, di innamorarsi di una ragazza, Serena, che gli starà vicino negli ultimi due anni della sua vita, per la quale Matteo proverà un amore umano, profondo e casto, basato sui valori cristiani.
Ancor più rilevante è l’impatto che la malattia avrà nella sua vita spirituale. Da subito sente che sta vivendo una “rifioritura spirituale”, come egli stesso la definisce, in cui riesce a percepire fin in fondo l’amore e la misericordia di Dio. In Matteo cresce il più totale abbandono alla volontà divina, consapevole che il futuro che Dio Padre Misericordioso ha in serbo per lui è un futuro buono, felice, qualunque esso sia. L’atteggiamento di ascolto, di attenzione e di cura verso i familiari e gli amici non cessa con la malattia, anzi si intensifica. La sua prima preoccupazione è quella di non far pesare agli altri la propria sofferenza, perciò si mostra forte, con lo sguardo sorridente, mai ripiegato su se stesso ma sempre rivolto a chi gli sta vicino. Persino durante i diversi ricoveri in clinica ed in ospedale, quasi dimentico di se stesso, è sempre intento a pregare per gli altri ammalati e a confortarli, trasmettendo loro tutta la dolcezza dell’amore divino. Più passa il tempo e più Matteo vede la propria malattia come una prova da offrire a Dio. Essa è il fuoco con cui viene provata la sua fede (cfr. 1Pt.1,6-9), che si rafforzerà e maturerà in quei sei anni nei quali i periodi di tranquillità si alternano con i momenti difficili dell’acuirsi del male. La fede e tutti gli altri talenti che Dio ha donato a Matteo vengono così perfezionati nella sua sofferenza. Grazie ad essa Matteo fa di ogni giorno della sua vita un “Primo Venerdì del mese”, pia pratica, peraltro, a cui è dedito.
Matteo non si occupa solo delle necessità materiali e contingenti dei fratelli vicini, ma anche di quelli lontani: forte è il suo interesse per le popolazioni del Terzo Mondo tanto da creare, con i propri risparmi e le offerte dei suoi familiari, un fondo per le missioni africane del Mozambico.
Tuttavia la sua preoccupazione maggiore è la salute spirituale del prossimo. Già da piccolo vi è in lui un forte desiderio di evangelizzare e di portare gli uomini a Dio. Questo pensiero è sempre presente, tanto che nell’agosto del 2005, quando già ha subito il primo intervento di asportazione del tumore, compone una raccolta di poesie che, come egli stesso afferma, “vuole esaltare temi come l’Amore e la Fede che oggi purtroppo vengono sempre più sostituite dall’odio, dalla brama di potere, dalla guerra, dalla ricchezza”. La sua è una raccolta “diretta nei cuori di ognuno”.
Ciò che fa soffrire Matteo è l’amara constatazione di quanto la gente, in particolare la sua generazione, si sia allontanata da Dio. Egli prega continuamente per i giovani e arriva a dire: “Per quanto mi riguarda spero di riuscire a realizzare la mia missione di “Infiltrato” tra i giovani, parlando loro di Dio (illuminato proprio da Lui)…osservo chi mi sta intorno per entrare tra loro silenzioso come un virus e contagiarli di una malattia senza cura, l’Amore”.
Il suo amore raggiunge un grado d‘elevazione tale che Matteo, negli ultimi giorni della sua vita, si offre vittima per la salvezza delle anime e la conversione dei peccatori.
Matteo ha vissuto tutta la sua vita nella continua ricerca della volontà di Dio. Una fede eroica, unite alla speranza e alla carità, lo hanno contraddistinto rendendolo un faro per quanti lo hanno incontrato. La vita sacramentale e di preghiera sono state una costante nel suo percorso di vita. Negli ultimi tempi, quando le forze lo avevano abbandonato, registrò la recita del rosario con la sua voce, con una pausa nell’enunciazione del mistero, per poter contemplare sempre i misteri del Signore conformandosi ad essi. Quanti nella malattia lo hanno incontrato testimoniano l’eroicità della sua fede che lo ha contraddistinto, consentendogli di vivere tutto in perfetta letizia e di accogliere sorella morte nella serenità che contraddistingue i giusti.
p. Giuseppe Marrazzo
Giuseppe Marrazzo nacque a San Vito dei Normanni (Brindisi) il 5 maggio 1917, sesto di nove figli, in una famiglia di modeste condizioni. Il padre Luigi era contadino e la madre Maria Concetta Parisi casalinga; fu battezzato nella parrocchia di San Domenico, alla quale la famiglia apparteneva, e nelle stessa parrocchia ricevette la prima comunione e, il 3 giugno 1928, la Cresima. In questo periodo cominciò a maturare la propria vocazione religiosa. I genitori ne parlarono con don Francesco Passante, cugino della madre e arciprete del villaggio, che li indirizzò verso la scuola apostolica dei rogazionisti di Oria, diretta da padre Pantaleone Palma.
Il 20 ottobre 1930, all’età di tredici anni, Giuseppe Marrazzo fu ammesso alla prima ginnasiale della scuola apostolica. Tra il 1938 e il 1939, Giuseppe Marrazzo svolse il proprio anno di magistero nella Casa Madre di Messina, dedicandosi all’assistenza degli alunni dell’istituto. Nell’ottobre del 1939, tornò a Messina per cominciare gli studi di teologia nel seminario diocesano. Per i primi cinque anni di sacerdozio, padre Marrazzo si occupò dell’Ufficio di Propaganda.
Marrazzo spesso si scherniva dicendo che “il metodo del predicatore è per me difficile”; tuttavia, nel corso degli anni, aveva elaborato un suo modo personale, semplice ma efficace di predicare; per rendere più immediatamente comprensibili le sue orazioni le arricchiva di massime, aneddoti, proverbi, ma anche di detti di Voltaire, Hugo, Foscolo e Metastasio, pazientemente raccolti.
Morì la notte tra il 29 e il 30 novembre 1992, per arresto cardiaco da infarto del miocardio. Con queste parole l’Istituto diede la triste notizia alla città: “E’ deceduto nella sua stanzetta accanto al Santuario, avendovi esercitato il ministero sacerdotale per quasi cinquant’anni. Spirito semplice, riempì d’amore verso Dio e il prossimo e di una filiale devozione alla SS. Vergine, tutta la sua vita. Ne danno il triste annunzio i PP. Rogazionisti”.
p. Francesco Convertini
Don Convertini era nato in contrada Papariello di Locorotondo (Bari) il 29 agosto 1898. Durante la I Guerra Mondiale fu chiamato sotto le armi. Il Capitano se lo scelse come attendente e lo amò come un figlio. In battaglia fu ferito, fatto prigioniero e condotto in Ungheria. Tornato in Patria dice “sì” alla chiamata del Signore manifestatasi attraverso la mediazione umana di don Amadei e della Comunità del “Cagliero” di Ivrea. Parte da Genova per l’India dopo aver ricevuto il Crocifisso dalle mani del Beato don Rinaldi. Novizio di don Ferrando, discepolo di don Mathias e di don Vendrame si distingue per un eccezionale zelo apostolico. Intellettualmente parlando non si poteva essere meno dotato di don Convertini. A stento aveva potuto compiere gli studi filosofici e teologici: è il nostro Curato d’Ars!. La sua conoscenza della lingua bengalese sarà sempre molto deficiente. Eppure nessuno in Krishnagar ebbe tanti amici, tanti figli spirituali tra ignoranti e sapienti, tra ricchi e poveri. Era l’unico missionario che poteva entrare in una casa indù e spingersi oltre la prima camera d’ingresso. Era continuamente in cammino di villaggio in villaggio. Mezzi di trasporto erano il cavallo e la bicicletta. Ma egli preferiva mettere sulle spalle il proprio zaino e girare a piedi, perché così avrebbe potuto incontrare tanta gente e parlare loro di Cristo. Si donava indistintamente a tutti: Musulmani, indù, cristiani… e da tutti fu amato e venerato come Maestro di vita interiore che possedeva abbondantemente la “sapientia cordis”. Godette fama di santità già in vita, non solo per la sua eroica dedizione alle anime ma anche per misteriosi episodi che si raccontavano di lui. Morì, lui devotissimo della Vergine, l’11 febbraio del 1976 mormorando: “Madre mia, io non ti ho mai dispiaciuto in vita. Ora aiutami tu!”. La sua salma fu esposta in Cattedrale e fu un continuo affluire di persone di ogni razza e di ogni religione. Ora riposa nel giardino adiacente alla Cattedrale di Krishnagar.
Domenica Crocifissa “Nina” LOLLI
Domenica Crocifissa “Nina” LOLLI nasce a San Donaci (BR) il 14 settembre 1911 da Salvatore e Vincenza De Mitri.
Vive il calore di una famiglia dalle profonde radici cristiane insieme ad altri nove fratelli.
Il 15 dicembre 1921, a soli 10 anni, rimane orfana della mamma e di lei si prendono cura il papà, le sorelle maggiori e i fratelli.
Nella sua giovinezza sente parlare spesso di San Francesco d’Assisi e rimane colpita dal suo esempio di povertà,di semplicità e di servizio verso gli ultimi.
Dedita al ricamo, prepara il suo corredo in vista di un eventuale matrimonio.
In seguito ad una grave malattia e durante un periodo di grande sofferenza, si sente chiamata a rinunciare al mondo e ad offrire la sua vita agli altri, alla sequela del poverello di Assisi.
Da allora rinuncia anche al proprio corredo e si dedica solo a ricami sacri, meravigliosi ricami anche in oro, alcuni dei quali esistono ancora a Pompei (NA). Capodrise (CE), nella Basilica di Ara Coeli e nel Convento delle Suore Bonaerensi di San Giuseppe a Roma, nel Convento di San Giovanni Rotondo, nella Parrocchia Santa Maria Assunta di San Donaci e in tante casa di persone che da Milano, Scafati (SA), Marcianise (CE), Castellammare di Stabia (NA), Noicattaro (BA), Triggiano (BA), Fasano (BR), Francavilla Fontana (BR) e dai paesi nelle vicinanze di San Donaci andavano a trovarla e alle quali lei donava i suoi ricami.
Nel 1931, decide di entrare nel Terz’Ordine Francescano e di vivere la sua consacrazione a Dio tra le mura domestiche,seguendo il consiglio del suo padre spirituale.
Un anno dopo inizia l’anno di noviziato nel T.O.F. e il 28 dicembre 1935, con la Professione Solenne, pronuncia il suo “Si” deciso, gioioso e definitivo a Dio.
Nel silenzio della sua povera e semplice casa dedica tante ore,sia di notte che di giorno, all’arte del ricamo, tra la preghiera personale e la sempre pronta disponibilità ad accogliere chiunque abbia bisogno del suo aiuto.
Il 4 febbraio 1948, all’età di 37 anni, viene chiamata a guidare la “Congregazione”del Terz’Ordine Francescano di San Donaci. L’incondizionato amore per il prossimo e la particolare attenzione verso le mamme in difficoltà nel crescere i propri figli, soprattutto gli orfani di guerra, attira altre giovani donne a seguire il suo esempio.
La sua è ormai una vita immersa nella preghiera,nella gioia, nella contemplazione e nel servizio.
Per tutta la vita “si offre vittima per i Sacerdoti”, per le mamme che non possono avere figli e per tanti casi bisognosi e difficili.
Tante le opere di carità da lei compiute, sempre nel massimo silenzio e nella più grande riservatezza, perché, come si legge ancora oggi, entrando nell’ambiente ove è stata ricostruita la sua camera da letto, e come lei stessa usava ripetere:“Il rumore non fa bene, il bene non fa rumore”.
Innamorata di Maria, Madre di Gesù, propaga la devozione al Santo Rosario e, da pellegrina, si reca spesso al Santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei per affidare a Maria Santissima tutte le intenzioni custodite nel suo cuore, ma anche per sostenere, con i suoi gesti di carità, l’Opera del beato Bartolo Longo e i giovani in cammino verso il Sacerdozio.
Per “mamma” Nina grande era l’amore per i sacerdoti. Nel Sacerdote, ella vede Gesù e grazie al Sacerdote, riceve Gesù.
Negli anni della seconda guerra mondiale si reca spesso da Padre Pio e diviene sua figlia spirituale.
A Capodrise (CE) incontra Nicolina GAGLIONE, sorella di Giacomo (ora venerabile) con la quale instaura un intenso rapporto spirituale.
Nicolina custodisce nella sua casa la statuina di “Gesù Piccolino”, al quale “mamma” Nina si rivolge, da umile discepola, con devoto affetto, implorando grazie e intercedendo per quanti le chiedono aiuto.
La vita di questa semplice donna incrocia per decenni anche Fra’ Giuseppe GHEZZI (oggi venerabile) che, andando di casa in casa, con la sua bisaccia, ad annunciare il Vangelo della Carità, si ritrova a bussare anche alle porte della giovane Nina, che lo definisce spesso “il frate Santo”.
A San Donaci, Nina lascia una testimonianza tangibile della sua devozione a Maria, facendo dono della Statuina di Santa Maria Bambina (proveniente da Milano) alla sua Chiesa parrocchiale.
Col passare degli anni, lo stato di salute di “mamma” Nina peggiora sempre di più.
Ormai allettata, nell’impossibilità di recarsi di persona al Santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei, nell’ottobre 2003, riceve, nella sua modesta dimora, la visita del frate cappuccino Mons. Francesco Saverio TOPPI, Arcivescovo Prelato di Pompei (oggi Servo di Dio).
Nel 2006,a pochi mesi dalla sua morte, viene visitata dalle Suore di Gesù Eucarestia e dei poveri di Capodrise, che le portano la statuina di “Gesù Piccolino”.
Gli ultimi mesi della sua vita, ormai quasi completamente cieca, trascorre gran parte della giornata con gli occhi chiusi e sempre in profonda preghiera. Negli ultimi tempi, si aggiunge anche l’inappetenza: ormai si nutre pochissimo,finché all’alba del 27 settembre 2006, alle quattro del mattino, spira dolcemente, tornando alla casa del Padre Celeste, circondata dall’affetto delle persone a lei vicine.
“Mamma” Ninase ne va in punta di piedi, in silenzio, nel silenzio della notte, proprio come in silenzio aveva scelto di vivere.
E’ stata un esempio luminoso di vita evangelica vissuta nella consapevolezza di realizzare il progetto che Dio aveva pensato per lei.
Il 4 marzo 2018 S.E. Mons. Domenico CALIANDRO, Arcivescovo della Diocesi Brindisi– Ostuni nomina il Rev.do Padre Massimiliano NOVIELLO OFM Cap. legittimo Postulatore della Causa di Beatificazione e Canonizzazione di Domenica Crocifissa “Nina” LOLLI, terziaria francescana.
Il 14 settembre 2018 la Congregazione delle Cause dei Santi emette apposito Decreto di Nulla Osta all’apertura della Causa di Beatificazione e Canonizzazione della Serva di Dio Domenica Crocifissa “Nina” Lolli.
Il 28 dicembre 2018, nella Chiesa S. Maria Assunta di San Donaci (BR) si insedia il Tribunale per la sessione di apertura dell’Inchiesta diocesana sulla vita, virtù, fama di santità e segni della Serva di Dio.
Preghiera per la Beatificazione
Antonietta Guadalupi
Antonietta Guadalupi nasce a Brindisi il 22 novembre 1947. E’ battezzata l’8 dicembre dello stesso anno presso la Parrocchia “Santissima Annunziata”. Il 5 giugno del 1954, all’età di sei anni e mezzo, riceve la Prima Comunione e la Cresima presso la medesima chiesa parrocchiale. Successivamente la famiglia -padre Fortunato, mamma Maria ed il fratello Salvatore di un anno più grande di Antonietta – cambiano casa e vanno ad abitare in via Cristoforo Colombo: la sua nuova Parrocchia è ora quella di San Benedetto.
Frequenta asilo e scuola elementare presso l’Istituto delle Suore Francescane. Inizia la scuola media presso la “Salvemini”: la malattia della madre e la morte -avvenuta il 17 ottobre del 1960- le fanno interrompere gli studi. Antonietta ha solo 13 anni.
Le tribolazioni non le tolgono la fede trasmessale: frequenta la Parrocchia, mai perde la gioia di vivere e l’amore al Signore.
Per grazia di Dio e provvidenzialmente conosce nel 1965 l’Istituto Maria Santissima Annunziata(Imsa): in quello stesso anno partecipa a degli Esercizi Spirituali che fanno maturare in lei la scelta di Consacrarsi totalmente al Signore all’interno di quel “ramo” della Famiglia Paolina.
Il 17 agosto 1967 Antonietta, quasi ventenne, inizia il Postulato (ad Ariccia, Roma) tra le Annunziatine: esso non è residenziale ma prevede, come il Noviziato successivo, di restare in famiglia, nel mondo, senza abito religioso.
Nel gennaio del 1969 muore improvvisamente il padre Fortunato.
Antonietta resta completamente orfana col fratello Salvatore: è una grande prova per lei che vive con fede forte e determinata. Nel frattempo ha ripreso gli studi ed ha conseguito la Maturità al Liceo Classico “Marzolla” l’anno scolastico 1968-1969.
Il 27 luglio 1971, a Galloro (Roma) Antonietta fa la sua Professione semplice nell’Imsa.
Per poco più di un paio d’anni prova a studiare Medicina presso l’università di Bari. Aiutata nella direzione spirituale da don Gabriele Amorth, Delegato delle Annunziatina, matura la scelta di trasferirsi a Milano per frequentare il Corso di Infermiera Professionale presso l’Istituto Nazionale Tumori.
E’ il settembre del 1974: Antonietta ha 27 anni ed inizia una nuova fase della sua vita.
Consegue nel 1976 il Diploma a pieni voti.
Il 5 settembre del 1976, a Martina Franca (Taranto), Antonietta emette i voti perpetui.
La sua Parrocchia a Milano è quella dei Santi Martiri Nereo e Achilleo presso la omonima basilica di via Girolamo Emiliani.
Pur lavorando al Centro Tumori Antonietta riesce a frequentare anche la Scuola Regionale C.R.I. “Principessa Jolanda”, dove si diploma come Assistente Sanitaria Visitatrice: questo nuovo diploma le consente di ha partecipare al concorso di un posto di Assistente Sanitaria all’Istituto Nazionale per la cura dei tumori e lo vince: è il 1977.
All’interno del Centro Tumori diventa, pian piano, un punto di riferimento: merito della sua capacità e competenza ma prima ancora in virtù della sua santità di vita.
Innumerevoli sono le testimonianze riguardo il suo eroico impegno non solo in corsia ed in ufficio ma anche per aiutare i molti malati ed i loro parenti -spesso provenienti da molto lontano- ad affrontare le notevoli difficoltà della malattia e del soggiorno a Milano.
“Non ti preoccupare, penso a tutto io, tu vieni” : cosi incoraggiava a telefono chi, oppresso dal grave male, le chiedeva aiuto prima di recarsi a Milano. Era un grande apostolato e chiunque la cercava aveva il suo appoggio, il suo sostegno, le sue preghiere.
Trova il tempo anche di perfezionare la sua preparazione attraverso alcuni Corsi di livello accademico e persino la prosecuzione degli studi di Medicina (che però non completa).
Nel 1996 Antonietta festeggia il suo Giubileo: 25 anni di Consacrazione al Signorepresso l’Istituto Maria Santissima Annunziata.
Nel marzo del 1998 persino la stampa nazionale dà rilievo al suo impegno al Centro Tumori.
Antonietta ha superato i cinquant’anni. Ma la attende, di lì a poco, Sorella morte.
Dopo breve malattia ed atroci sofferenze muore santamente in Milano: sono le sette e trenta del 30 luglio 2001. E’ un lunedì e la Chiesa ricorda San Pietro Crisologo.
Il suo corpo riposa nel Cimitero di Brindisi.