Amati figli,
Due anni fa eravamo assorti nel silenzio delle strade quando l’inattesa pandemia ci ha costretto a rimanere chiusi in casa. Oggi abbiamo il cuore sgomento, mentre gli echi della guerra sono insistenti, le parole fra i capi delle nazioni sono condite di acredine e lo strazio degli afflitti non trova consolazione.
Ci siamo abituati allo stile del conflitto in cui è vincente il più forte, colui che sa alzare di più la voce, come avviene abitualmente anche nei contesti ordinari di vita, nei dialoghi per strada o con i mezzi di comunicazione.
Ma, in un mondo che ragiona con violenza, il cristiano è chiamato invece a confrontarsi con la scena muta e scomoda del Crocifisso.
Prima di morire, Gesù, si rivolge in preghiera al Padre, perché si compia la sua volontà, apre al malfattore le porte del paradiso, perdona i crocifissori, affida la Madre al discepolo amato e viceversa.
Poi scende il silenzio e la morte. Tutto è consegnato al Padre, la salvezza è donata agli uomini. La croce è uno strumento di morte e di oppressione, ma, nel contemplare il Crocifisso, scopriamo che l’amore è più forte della violenza e dell’odio. La croce è una scena scomoda da guardare, perché ci richiama la fragilità, l’impotenza, la deliberata scelta di Gesù di non alzare la voce e di non esercitare vendetta su chi lo ha trafitto.
Nel Crocifisso noi vediamo il dono dell’amore come risposta all’odio degli uomini. È questa l’immagine potente evocata dalle braccia distese di Gesù, con le mani aperte e trafitte dai chiodi. Le braccia sono distese per ricevere, le mani sono aperte per donare. Le braccia distese vogliono accogliere il peccato degli uomini, le mani sono aperte per donare senza misura il perdono. Il Crocifisso rende concreto ciò che Gesù stesso aveva insegnato a Pietro: perdonare all’infinto, fino a «settanta volte sette» (Mt 18, 22). Nelle mani trafitte si compendia il dono dell’Eucaristia: «Prendete, mangiate: questo è il mio corpo. […] Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati» (Mt 26, 26-29).
L’Eucaristia ci riunisce come Chiesa, popolo redento dal Signore, convocato per celebrare la Pasqua. Qui troviamo il nutrimento per reagire al male e per implorare la pace: «Liberaci, Signore, da tutti i mali, concedi la pace ai nostri giorni».
Croce ed Eucaristia riuniscono in sé il senso della storia, la vita che vince la morte, il dono d’amore che supera le pretese dell’odio, il perdono che supera la vendetta.
Recuperiamo in questa Pasqua l’amore per il Crocifisso. Contempliamo con riconoscenza il mistero che si compie sull’altare della croce, su cui Cristo offre sé stesso per noi. Come il re Davide, anche noi – davanti alle braccia distese e alle mani aperte di Gesù – alziamo le braccia e imploriamo: «Signore, a te grido, accorri in mio aiuto; porgi l’orecchio alla mia voce quando t’invoco. […] Non piegare il mio cuore al male, a compiere azioni criminose con i malfattori. […] A te, Signore Dio, sono rivolti i miei occhi; in te mi rifugio, non lasciarmi indifeso» (Sal 141).
E se davanti al mistero del Crocifisso ci sentiamo debitori o ingrati o impotenti, facciamo nostre le parole di san Guido Maria Conforti: «Il Crocifisso è il gran libro sul quale si sono formati i santi e sul quale noi pure dobbiamo formarci. Tutti gli insegnamenti contenuti nel Vangelo sono compendiati nel Crocifisso. Esso ci parla con una eloquenza che non ha l’eguale: con l’eloquenza del sangue. Ci inculca l’umiltà, la purezza, la mansuetudine, il distacco da tutte le cose della terra, l’uniformità ai divini voleri, e soprattutto la carità per Dio e per i fratelli».
Auguri di santa Pasqua! Vi benedico,
+ Domenico Caliandro
Arcivescovo di Brindisi-Ostuni